Nel Documento di economia e finanza varato la settimana scorsa dal governo Gentiloni ci sono “discrasie” riguardo ai dati sull’effettivo valore degli interventi pubblici a favore del sistema bancario. A metterlo nero su bianco sono i tecnici del Servizio Bilancio del Senato nel dossier informativo sul Def. “Il rapporto di inizio anno del Governo consegnato alla Commissione”, è il punto di partenza degli analisti, “indica un valore del rapporto debito/pil pari al 132% per il 2017, al netto del supporto al sistema bancario” per il quale come è noto è stato creato un fondo di garanzia da 20 miliardi. Quanti ne saranno effettivamente utilizzati non si sa ancora, ma il Tesoro nel Def ha azzardato alcune stime. Stime, però, diverse nelle diverse parti del documento.

Infatti, visto che la stima del debito/pil per il 2017 “non dovrebbe aver subito modificazioni per altre motivazioni, si può presumere che l’indicazione per l’omologo dato del valore del 132,5% nel presente Def derivi dall’ipotesi di un impatto per mezzo punto sul fabbisogno delle misure precauzionali predisposte a tutela del settore bancario. Si tratterebbe di uno sforzo, a fronte di uno stanziamento per 20 miliardi di euro tramite la costituzione di un fondo ad hoc nello stato di previsione del MEF, pari a circa 8,5 miliardi di euro“. Solo che in un’altra parte del Def il dato è quantificato in circa “la metà delle risorse rese disponibili per la ricapitalizzazione precauzionale delle banche tramite il decreto-legge n. 237 del 2016 (20 miliardi)”. Dieci miliardi, dunque. I tecnici non possono che auspicare “maggiori informazioni”, sottolineando che “sembrano permanere quegli elementi di incertezza circa le modalità, i tempi e l’entità finanziaria degli interventi, espressamente riconosciuti nella stessa Relazione presentata al Parlamento il 19 dicembre 2016, al fine di ottenere l’autorizzazione a ricorrere all’indebitamento per realizzare operazioni relative alle partite finanziarie”.

“Serve approfondimento su realizzabilità degli introiti da privatizzazioni” – Anche sugli introiti attesi dalle privatizzazioni si ritiene poi “auspicabile un approfondimento, con indicazioni più dettagliate sulle partecipazioni oggetto di dismissioni, circa la realizzabilità degli introiti attesi, cifrati pari a 0,3 punti percentuali annui dal 2017, anche alla luce del fatto che, a fronte di una stima del Def 2016 che li stimava pari allo 0,5% del Pil per il medesimo anno, i ricavi effettivamente conseguiti sono stati pari a circa 0,1 punti percentuali di pil.

Confindustria sposa la (nuova) linea di Padoan: “Sì ad aumento Iva per tagliare cuneo” – Luca Paolazzi, direttore del centro studi di Confindustria audito martedì sul Def, ha auspicato che il governo Gentiloni faccia aumentare l’Iva per finanziare il taglio del cuneo fiscale, dopo l’apertura su questo fronte arrivata a Pasqua dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. “Da tutte le simulazioni che abbiamo fatto emerge che lo scambio Iva-cuneo fiscale determina un forte stimolo alla crescita, anche in queste situazioni di debolezza dei consumi”, ha detto. “Vuoi perché la riduzione del cuneo si traduce in una minore dinamica inflazionistica, vuoi perché c’è un maggiore stimolo alle esportazioni, vuoi perché c’è un premio a chi si orienta verso i mercati esteri più dinamici”. E questo sarebbe quanto mai necessario per la Penisola visto che “alla luce delle restrizioni programmate” nel documento sarà “difficile sostenere lo sviluppo del Paese”.

La restrizione cumulata netta (cioè la differenza tra maggiori entrate nette e minori spese nette) è pari a 1,2 punti percentuali di Pil nel 2018 (0,9 al netto della manovrina) e 1,7 punti nel 2019 (0,5 al netto di quanto già realizzato nel 2018), cioè, calcola viale dell’Astronomia, circa 30 miliardi cumulati nel triennio 2017-19 di cui 3,4 quest’anno, 15,8 con la legge di bilancio e ulteriori 9,1 nel 2019. Quelle programmate dal governo sono “manovre molto consistenti che devono essere rese compatibili con tassi di crescita adeguati a colmare il ritardo di sviluppo accumulato prima e durante la crisi dall’Italia rispetto ai suoi principali partner europei”. Il divario per quanto riguarda il pil pro-capite è pari a 21,6% nei confronti della Germania e del 10% nei confronti della Francia. “Mai come ora”, ha detto Paolazzi, “sono necessarie politiche di bilancio volte ad assicurare anche un forte aumento degli investimenti pubblici, una significativa riduzione del cuneo fiscale e contributivo, a cominciare dai giovani, e, più in generale, del carico fiscale che grava su famiglie e imprese, e maggiori risorse per accrescere la coesione sociale. Tutto ciò richiede risorse aggiuntive rispetto a quelle necessarie per diminuire il deficit”.

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