Non sarà più necessario buttare mezze giornate per ritirare una raccomandata non consegnata dal postino. Non dovremo più fare la fila dietro decine e decine di persone in un ufficio postale distante magari diversi chilometri da casa, scelto dalle Poste in base agli insindacabili criteri organizzativi dell’azienda, tra i quali non figura quello di favorire la clientela. Per le raccomandate “inesitate” (nel gergo tecnico postale si chiamano così) si torna al passato. Che in questo caso è sinonimo di meglio. Viene resuscitato il sistema della consegna della missiva nell’ufficio postale più vicino all’indirizzo del destinatario. Rispetto a un tempo non ci sarà più uno sportello dedicato alla bisogna e invece che il giorno successivo a quello della mancata consegna sarà necessario aspettarne due, ma insomma il vantaggio c’è. Finalmente. Forse. Perché non è detto che il miglioramento che le Poste hanno programmato arrivi in porto.

La novità del ritorno ai vecchi metodi intaccherebbe in parte lo status quo di centinaia di dipendenti coinvolti nella piccola restaurazione postale. E quindi non la vogliono, anzi, sono così poco entusiasti dell’operazione che cercano di ostacolarla cercando protezione nei sindacati. Che alle Poste sono influenti, sostenuti da un tasso di sindacalizzazione tra i più alti del mondo: oltre l’80 per cento dei dipendenti ha una tessera sindacale in tasca. In questa circostanza Cgil, Cisl e Uil sono però in imbarazzo, messi in mezzo: non possono contrastare l’operazione dell’azienda perché sanno che va nella giusta direzione dell’offerta di un servizio migliore ai clienti. Ma fanno fatica a riconoscere che gli iscritti non sempre hanno ragione. Con prudenza, il nuovo segretario dei postini Uil, Claudio Solfaroli, spiega la situazione a ilfattoquotidiano.it: “Siamo ovviamente favorevoli al miglioramento del servizio raccomandate, ma l’azienda non ci ha quantificato né i carichi di lavoro previsti né il numero dei lavoratori necessari. Non vorremmo che le buone intenzioni si tramutassero in un danno per tutti, lavoratori e cittadini, e che alla fine il servizio risultasse peggiore di prima”. Negli ultimi due anni l’organico postale è stato ridotto di 20mila unità, da 146mila a 126mila persone, e i tagli hanno riguardato soprattutto i servizi tradizionali.

Per gestire la consegna delle raccomandate non ritirate dal destinatario, lavorano dietro le quinte in tutta Italia circa 600 persone. Funziona così: il postino che per un motivo o per un altro non riesce a consegnare la lettera al destinatario fa confluire le inesitate ai centri di recapito dove vengono rilavorate in particolari sezioni dedicate allo scopo. La metà circa degli addetti a queste lavorazioni, circa 300 persone, sono di tipo particolare: definite “inidonee” alle mansioni postali tradizionali, come il postino o lo sportellista. Al momento non è chiaro che fine sarebbe riservata a questi inidonei per effetto della riforma delle raccomandate. Gli altri 300, invece, dovrebbero riciclarsi come sportellisti. Ma molti a cambiare mestiere non ci pensano proprio. A confondere il quadro ci sono gli attuali sportellisti, per niente contenti di avere come nuovi colleghi gli ex addetti alle raccomandate: sostengono che la loro presenza non sarebbe d’aiuto. A torto o a ragione tra i dipendenti delle Poste è radicata la convinzione (o il pregiudizio) che la maggior parte di queste 600 persone sia in fuga da lavori più impegnativi, infilate in quegli uffici per raccomandazione di varia natura, non esclusa quella sindacale. E così per i sindacati sta diventando una via crucis l’auspicato ritorno al passato delle raccomandate. Con la possibilità che infine non cambi nulla.

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