“Le aspettative sono solo desideri sporchi di paura”. Tutti siamo in aspettativa: passiamo una vita nell’attesa di raggiungere quel che ci proponiamo di fare, timorosi di non dover mettere radici nella sterminata terra del rimpianto. Fare previsioni è uno dei modi maggiormente utilizzati per rapportarsi con il futuro, eterno sconosciuto.

Dalle aspettative germoglia la speranza e, se non si sta attenti, appassisce e si tramuta in delusione.

Il senso della vita è, in fin dei conti e sinteticamente, sentire di non averla sprecata, di avere costruito qualcosa che possa durare, almeno nel tempo della nostra breve permanenza su questa terra. Se ci pensate, l’ansioso è chi fa previsioni in continuazione, mentre il depresso è chi ha smesso di farne da tempo. Il passato ci condiziona, ma anche il futuro non si tira indietro, quando c’è da mettere i bastoni tra le ruote al presente.

È cambiato il rapporto tra bisogni e desideri, i secondi hanno ormai vita facile nel spacciarsi per i primi, i quali elemosinano la visibilità di un tempo, ma nessuno dà loro attenzione.

I desideri si travestono da bisogni, mentre questi ultimi cessano di essere desiderati come un tempo. L’etere non è solo quello che naviga tra i bit di internet, ma è ciò che si è intromesso prepotentemente nelle nostre relazioni e nella nostra visione di vita, cambiandole radicalmente.

Siamo virtuali non solo davanti a un pc o uno smartphone, lo siamo in tutto quello che ci aspettiamo. La tecnologia (così com’è utilizzata) ha tolto i confini a troppe cose, tra cui quello che è legittimo attendersi. La realtà è diventata un’opinione, salvo quando ci piomba addosso, rivendicando la sua presenza.

Casa, lavoro e famiglia sono normali bisogni (in realtà, il lavoro non è un bisogno, è una necessità, ma intendiamolo come una modalità per procurarsi da vivere e, nei casi più fortunati, sentirsi realizzati). Solo che, negli ultimi anni, da punti di riferimento piuttosto stabili questi sono diventati desideri, in quanto non sono  garantiti come, tutto sommato lo erano per le generazioni precedenti.

Mille euro al mese o poco più, l’aiuto di una famiglia di origine che ancora può dare una mano, la tecnologia che ci fa pensare che quello che  succede al suo interno sia più rilevante di quello che succede all’esterno, rendono le cose sopportabili, l’essere umano si adatta, deve farlo per sopravvivere, ma sopravvivere non è vivere.

Il desiderio è seguito dall’intento di vederlo realizzato, ma questo rimane una possibilità, non una certezza. Siamo disabituati a reggere la frustrazione, in un mondo pieno di scelte, ma carente di decisioni. Se le scelte aumentano, lo fa anche l’ansia da prestazione che blocca il troppo e genera il poco.  Se si pensa di essere in grado di fare tutto, ma poi ovviamente si trovano dei confini, allora si è portati a pensare di aver fallito.

Se non è l’individuo a rendersi conto dei limiti, attraverso una personale presa di consapevolezza, la realtà esterna troppo spesso rimanda ad un loro superamento o addirittura al’’idea che questi non ci siano.

Accettare il limite crea equilibrio tra bisogni, desideri e aspettative e di conseguenza un sano agire, senza di esso siamo destinati all’insoddisfazione eterna e chi è sempre insoddisfatto non può che consumare e consumarsi.

Vignetta di Pietro Vanessi

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