Morire a 21 anni. Non per fatalità. Non per “sfortuna”. Non per malattia. Morire a 21 anni con 15 coltellate nella carne, inferte dall’ex fidanzato ventenne. Adesso provate a immedesimarvi nel corpo di una giovane donna, in quell’entusiasmo fragile e allo stesso tempo ambizioso che lo accompagna, in quella costruzione di vita che sta nei pensieri, che tra mille dubbi e slanci tenta di concretizzare un futuro tutto ancora da definire.

Un fidanzato, immaginarsi adulti, lo studio, il lavoro, decidere “cosa fare da grandi”.

La gelosia. A 21 anni non è pensabile accettare compromessi limitanti. Provate a tornare indietro con la memoria. Non dovrebbe accadere mai: io rivendico i miei spazi di libertà ogni giorno e ho 37 anni, una figlia e anche un marito (che in questo momento si lamenta perché è tardi, non sono ancora a letto. Lui, però, lo sa già. Sa che mi alzerò dalla sedia solo quando avrò finito); a 21 anni poi, è impensabile. Sarebbe quasi un sacrilegio. E per chi? Per un uomo? Non scherziamo.

Janira (la foto è tratta dal profilo Facebook della ragazza) sceglie di trasferirsi da Pietra Ligure ad Arenzano (Genova), per frequentare l’accademia di Costa Crociere. Un’ora circa di treno. Mezz’ora scarsa di distanza in macchina. Il fidanzato ventenne non manda giù il progetto, diventa troppo geloso e lei lo lascia. Ma non è questo il punto. Sono tutti elementi che rendono ancora più effimero il movente che scatena la follia, ma non è questo il punto. Cosa porta un ragazzo di 20 anni a non riuscire a pensarsi senza quella giovane donna? Così accade che a 21 anni vai a prendere quattro cose dall’appartamento del tuo ex fidanzato e lui ti macella di coltellate.

“Robi, devo scrivere”. Quante volte ho trascurato il mio compagno, poi marito, per fare qualcosa che per me era gratificante. Non penso gli faccia piacere, in parte sì perché mi vede felice, ma in cuor suo probabilmente mi vorrebbe tutta per sé. Io lo so che è così, ma non si può. Voler bene non significa avere il possesso di quella persona, ma volere il bene dell’altro. Sembra una banalità, eppure nei fatti si rivela non esserlo. E poi.. Se non siamo felici, ci lasciamo liberi. A vent’anni comunque non si ha il tempo di filosofeggiare. A vent’anni decidi e vai. A vent’anni non puoi immaginare di essere ammazzata perché quel fidanzato troppo geloso non comprende la tua necessità di Essere, a prescindere da lui. È qualcosa di inconcepibile.

Adesso basta! Vorrei urlarlo ma non serve a niente. Come non servirà a niente questa pagina. E questo tempo per me? Questo tempo che mi devo, che rivendico, che afferro ogni volta con la stessa stretta di mano? Serve a me, serve a condividere il frastuono che fa questa profonda ingiustizia dentro il cuore di una donna, che da erba schiacciata diventa fiore e ha saputo girarsi dalla parte del sole. Una come me. Ma non servirà a far desistere la prossima mano assassina che pretende attenzioni e risposte già scritte, non servirà a evitare che accada ancora.

Eppure ci deve essere una soluzione a tutto questo. Ho una figlia femmina. La sto crescendo mostrandole, ogni giorno, la fatica che fa una donna quando vuole essere se stessa, la fatica di una madre che sogna, lotta, lavora, che si indigna e si impegna, che ha delle passioni. Le sto mostrando la bellezza di essere Persona al di là del genere, della genitorialità, di una condizione predefinita che qualcuno tenta di appiccicarti addosso.

Il punto è che siamo già così “costretti… come dita dei piedi” (*), che per fortuna siamo ancora liberi di stare un po’ con chi ci pare, e siamo anche eventualmente liberi di stare da soli. Almeno in questo siamo liberi, cazzo! La libertà di Janira, 21 anni, viene negata da un coetaneo che prima di confessare annuncia: “Ho fatto una cavolata con la mia ragazza”.

Continua a sfuggirmi qualcosa. Non so a voi, ma c’è qualcosa che la mia mente continua a non realizzare, eppure io sono convinta che esista una responsabilità sociale profonda che è necessario affiancare a quella dei singoli. Perché, in un contesto malato, anaffettivo, e ancora pregno di preconcetti e sessismo come quello in cui viviamo, risulta evidente il prezzo che molte donne stanno pagando mentre rivendicano consapevolmente il loro desiderio di libertà e autonomia, di diritti, e di pari opportunità (che con qualche quota rosa qualcuno pensa di aver “concesso”). Sorride l’amarezza, stride l’inganno. A qualcuno sfugge ancora che non vogliamo concessioni, ma pretendiamo rispetto.

(* da Canzone quasi d’amore di Francesco Guccini)

 

Articolo Precedente

Gravidanza e contraccettivi, com’è possibile restare incinta ‘per caso’ nel 2017?

next
Articolo Successivo

‘Pentirsi di essere madri’: in un libro il racconto delle donne che vorrebbero tornare indietro

next