Ombrina Mare potrebbe costare cara alle tasche degli italiani. Lo aveva annunciato un anno fa e ha mantenuto la promessa: la compagnia petrolifera inglese Rockhopper ha avviato le procedure per aprire un arbitrato internazionale ad Amsterdam con l’obiettivo di chiedere i danni allo Stato italiano per mancati profitti e alti costi sostenuti in seguito al blocco del progetto Ombrina Mare. Prima con la sospensione per un anno del permesso di ricerca di cui era titolare e poi, all’inizio dello scorso anno, con il rigetto della richiesta di concessione a estrarre petrolio dal giacimento scoperto una ventina di anni fa e sfruttato da una piattaforma costruita a 6 miglia dalla costa abruzzese e poi smantellata. Lo stop è stato, in realtà, una conseguenza delle modifiche inserite nella legge di Stabilità 2016 da Palazzo Chigi. A dicembre 2015, infatti, pochi mesi prima del referendum sulle trivelle che si sarebbe tenuto il 17 aprile, il governo Renzi presentò alcuni emendamenti alla manovra che segnavano un sostanziale dietrofront rispetto all’articolo 38 dello Sblocca Italia e ricalcavano le richieste del Coordinamento No Triv, recependo buona parte dei quesiti relativi alle procedure di autorizzazione per le estrazioni petrolifere sia in mare, sia su terraferma. Una mossa salutata con soddisfazione dal mondo politico, ma che già allora il Coordinamento nazionale No Triv considerò un tentativo di scongiurare i referendum che proponevano proprio l’abrogazione di alcune parti dell’articolo 38 e dell’articolo 35 del decreto Sviluppo.

IL CONTO DA PAGARE – Cosa succederà ora? Intanto la Rockhopper mette pressione all’Italia, affinché si ‘riveda’ il quadro normativo. Ma, in caso si dovesse arrivare fino in fondo, il conto è salato. Sia perché il meccanismo che vuole mettere in atto la compagnia, l’Investor-state dispute settlement, ha portato già a molte sentenze favorevoli alle multinazionali con cifre da capogiro, sia perché i danni non riguarderebbero solo i costi sostenuti fino ad oggi (compresi quelli per lo smantellamento della piattaforma). Secondo le intenzioni della compagnia, infatti, lo Stato italiano dovrebbe pagare anche per i mancati profitti che sarebbero derivati dall’estrazione e dalla vendita del petrolio. Si parla di circa 160 milioni di euro. Secondo quanto dichiarato dalla compagnia, solo le spese per sviluppo, ricerca e de-commisioning ammonterebbero a 13 milioni di dollari. Che dovrebbero pagare gli italiani. “Rockhopper sta considerando le sue opzioni rispetto all’ottenimento di compensazioni dal Governo per ciò che considera una violazione della Carta dell’Energia” ha spiegato la compagnia in una nota stampa.

IL DIVIETO NELLA LEGGE DI STABILITÀ – Ma facciamo un passo indietro. La legge di Stabilità in questione entrò in vigore il 1 gennaio 2016 e con essa il divieto di trivellazioni in mare per la ricerca di idrocarburi entro le 12 miglia dalla costa. Il giorno prima, il 31 dicembre 2015, sul sito del Ministero dello Sviluppo Economico fu pubblicato il ‘Bollettino Idrocarburi 2015’ in cui veniva annunciata la sospensione dei permessi di ricerca nel Mare Adriatico. E si specificava che la sospensione che riguardava quello di cui è (ancora oggi) titolare la società Rockhopper Italia S.p.a. era prorogata a decorrere dal 1 gennaio 2016 e “fino alla data dell’eventuale conferimento della concessione di coltivazione di idrocarburi a mare di cui all’istanza e in ogni caso non oltre il 31 dicembre 2016”. Tradotto: niente ricerche, ma per un anno la piattaforma poteva continuare a esistere. Tant’è che, nello stesso bollettino, non si escludeva la possibilità di una futura concessione di coltivazione. Pur ripristinando il limite delle 12 miglia, infatti, il governo aveva salvato i titoli già rilasciati alla data di entrata in vigore della Legge di Stabilità. E quello per Ombrina Mare scadeva il 31 dicembre. Giusto in tempo. Quindi è stato sospeso il permesso di ricerca, ma non è scattato il divieto per un eventuale permesso di coltivazione. La doccia fredda per la compagnia petrolifera è arrivata, poi, nel febbraio dello scorso anno, quando è stata negata la richiesta di concessione a estrarre.

OMBRINA MARE E QUEL PERMESSO SOSPESO – Una doccia fredda che non ha fatto demordere la Rockhopper. A inizio novembre è stata chiesta la proroga del permesso di ricerca. E il divieto delle 12 miglia? La compagnia inglese si gioca tutto per tutto perché sa che cambiare di nuovo le carte in tavola si può. Basti pensare a quanto avvenne nel 2010, quando ministro dell’Ambiente era Stefania Prestigiacomo. Fu esteso da 5 a 12 il limite di miglia dalla costa e le concessioni in atto rimasero in sospeso. Eppure due anni dopo, il decreto Sviluppo del governo Monti, conservò sì quel limite, ma salvò tutti i procedimenti già avviati che ripresero il loro corso, come nulla fosse. Bastò che fossero ancora vigenti i titoli di ricerca. Ecco perché è prioritario per la compagnia ottenere quella proroga. Un sì al referendum sulle trivelle avrebbe reso il percorso molto più difficile, ma ad oggi l’avvio delle ricerche non è fantascienza.

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