Forse non lo sapete, ma nella scuola pubblica italiana il Miur ama classificare i suoi docenti in graduatorie di ogni tipo e colore. Ce ne sono per le Gae (Graduatorie a esaurimento), per la mobilità professionale, per la mobilità territoriale, per l’individuazione dei docenti sovrannumerari (anche note come graduatorie interne), per gli immessi di nuova nomina, e credo non finiscano qui. Praticamente, giorno che vai, graduatoria nuova che trovi. E funzionano tutte in un modo che a Benito Mussolini sarebbe tanto piaciuto.

Parliamo oggi della “graduatoria interna”, che si sta compilando in questi giorni un po’ in tutte le scuole. Serve a capire quale prof potrebbe perdere il posto di lavoro in quella data scuola (i cosiddetti “sovrannumerari”), qualora ci sia una riduzione del numero degli studenti iscritti.

Come funziona? Al momento opera una discriminazione sulla base dello stato civile: un docente sposato con figli piccoli è favorito rispetto a una docente nubile, o vedova, o divorziata, o fidanzata ma non coniugata e magari senza figli. Infatti, il coniuge residente nel Comune della scuola dove si lavora vale ben 6 punti. Ogni figlio sotto i sei anni (prima era tre anni, la 107 ha esteso a sei) vale 4 punti. Hai un genitore o parente di primo grado con guai di salute? Altri 6 punti. Fin qui la ratio non è assurda: è giusto che lo Stato si preoccupi di tutelare la famiglia, è previsto dalla Costituzione ed è un concetto di buon senso. Il problema sorge quando andiamo a vedere come sono valutate le altre voci: per i titoli accademici aggiuntivi a quelli che hanno dato l’abilitazione, c’è un tetto di appena 10 punti, facilmente raggiungibile con appena un dottorato (5 punti) e una seconda laurea (5 punti), ça va sans dire: non si parla minimamente di punteggio per partecipazioni a conferenze accademiche internazionali, o per libri o articoli scientifici pubblicati, per citazioni accademiche delle proprie ricerche. Come se chi insegna non dovesse o potesse anche essere aggiornato e fare ricerca.

Il messaggio del Miur dunque è: tu che sei insegnante di scuola, se vuoi fare punteggio per non perdere la cattedra, non devi aggiornarti e migliorarti sotto il profilo della preparazione culturale e pedagogica, o saper insegnare anche in inglese o spagnolo o francese, o saper spedire una email, o saper usare la Lim a scuola, o saper fare una manovra di Heimlich nel caso che un tuo studente stia morendo soffocato dalla merendina a ricreazione, o prendere certificati di vario genere per i quali c’è un tetto al punteggio, ed è assai basso. No: devi sposarti e fare figli. Anche 7 o 8: per i figli e il coniuge e i genitori non ci sono mica tetti al punteggio.

Ora: se è vero che la tutela della famiglia è garantita dall’art. 29 della Costituzione, e se è vero che per fortuna da quest’anno almeno le unioni civili sono equiparate in queste tabelle al matrimonio (dunque quel 10% di docenti omosessuali non è più discriminato rispetto ai loro colleghi eterosessuali coniugati), c’è che la Costituzione ha anche gli articoli 1, 2 e 3 che stabiliscono che il lavoro è un fondamento della persona (non solo della persona coniugata con figli) e che questa ha dei diritti inviolabili “sia come singolo, sia nelle formazioni sociali”, e che nessuno può essere discriminato per le sue “condizioni personali o sociali”.

Per ultimo, fatta salva una forma di tutela nei confronti dei coniugati con figli, siamo proprio sicuri che non abbia rilevanza il ruolo del lavoratore in queste graduatorie? In parole povere: se il docente di scuola deve insegnare qualcosa ai miei figli, io ci terrei che avesse due lauree e un dottorato e che avesse fatto un corso di prima assistenza medica, più che essere sposato con due figli. Se però, al contrario, deve fare da baby sitter ai miei figli, allora ecco che una sana esperienza personale come papà o mamma può tornare utile. E però, anche nel caso del baby sitter: se ha fatto un corso di primo soccorso, è preferibile al fatto che sia coniugato o con figli.

Va detto che queste categorie, e questi punteggi, sono frutto della contrattazione fra Miur e sindacati della scuola, che le difendono con le unghie e con i denti. La logica seguita fin qui pare sia stata del tipo: siccome l’88% dei docenti in Italia è donna, tuteliamo una donna insegnante che si immagina sempre moglie e mamma, più che una professionista della pedagogia. Sono concetti che andavano bene forse nel 1940, che già stridevano nel 1960. Ma nel 2017, quando anche fra le docenti le mamme con figli cominciano a essere non poi così tante, andrebbero senza dubbio rivisti.

Ministro Fedeli, ci pensa lei? Per lo meno cominciamo col togliere il tetto al punteggio dei titoli accademici, via. E poi a ricalibrare il resto dei punteggi: un coniuge non può fare un punto in più di un dottorato, per un docente di Scuola.

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