Sull’agenda del 10 marzo scorso avevo evidenziato l’inaugurazione della mostra fiorentina di Bill Viola Rinascimento elettronico, a Palazzo Strozzi – già recensita da Augusto Salviati al quale rimando – ma poi me n’ero “dimenticato”. E mentre mi rendevo conto d’aver perso l’opportunità di rivedere Viola, se non altro che per riaprire con lui un discorso iniziato 42 anni fa, mi sono anche chiesto il perché di questa mia “svista”.

Conobbi Bill Viola nella primavera del ’75, in occasione della mostra Artevideo & Multivision curata da Tommaso Trini alla Rotonda della Besana di Milano. Viola vi partecipava in qualità di video artista, il sottoscritto, invece, come autore di una multivision titolata La Società dello Spettacolo, frutto di una ricerca sociologica effettuata in Usa, sull’evoluzione tecnotronica dell’immagine, finanziata dalla Fondazione Agnelli che, non rispettando i termini del contratto, mi fece rientrare anzitempo pretendendo che mi occupassi di relazioni esterne (sic!). Me ne andai sbattendo la porta e sempre a Milano, assieme ad altri due reduci del ’68 trentino, fondai Intermedia 43 – un laboratorio di sperimentazione e produzione di processi audiovisivi, basato su un sintetico manifesto che riassumeva il succo di quanto elaborato negli anni 60 alla Harvard University da un gruppo di artisti e di scienziati, tra i quali Richard Buckminster Fuller, che contrapposero alla codificazione di idee in un astratto linguaggio letterario, la creazione di esperienze emozionalmente reali mediate l’uso di tecnologie audiovisive inventate di sana pianta, come per esempio il multivision system, in tal modo riuscendo a modificare il rapporto tradizionale e separato tra arte e scienza.

Da questi antecedenti la scelta di trasporre una ricerca sociologica in immagini e suoni mediante una multivision di 12 schermi e 24 proiettori controllati dal computer; una novità assoluta per l’Italia d’allora e di adesso, ancora attardata nell’eterno dibattito sul sesso degli angeli: sarà o non sarà che il medium sia o non sia il messaggio? Chissà.

Nella sezione video del medesimo evento, partecipò il fior fiore dei video artisti d’allora; oltre a Bill Viola con un video di 3’ Recycle del 1974, intervennero altri quarantadue artisti tra i quali Vito Acconci, Vincenzo Agnetti, Christian Boltasky Giuseppe Chiari, Gianni Colombo, Frank Gillette, Allan Kaprov, Dennis Oppenheim e, soprattutto, Name June Paik padre fondatore della videoarte nonché maestro di Viola. E fu un trionfo di critica e di pubblico, visto e considerato che nell’arco di soli 13 giorni, la Befana attirò 20mila persone, comprese le scolaresche attratte dal profluvio di immagini e suoni.

Maurizio Calvesi sulla terza pagina del Corsera, vergò: “Il pregio più profondo di questa proiezione simultanea di diapositive è un certo recupero di chiarezza, grazie all’impaginazione straordinariamente sapiente: per cui non ne risulta un confuso bombardamento di immagini ( come nelle analoghe esperienze americane), ma un effettivo per quanto paradossale, approccio alla simultaneità mentale. (…) Questa esigenza di simultaneità nasce dall’enorme massa di materiale: nel tempo che sarebbe richiesto per sfogliare cento foto se ne vedono, o se ne intravedono, quasi duemila. Il metodo, antiselettivo e circondante, è specchio della comunicazione tecnologica di massa, che tende sempre all’environment, a prendere cioè l’utente nel suo gorgo, spesso fatalmente a sopraffarlo, mentre il vecchio sistema di comunicazione, la pagina scritta o l’immagine dipinta, presuppone un rapporto frontale e paritetico con l’uomo, lascia anzi a lui tutto l’agio e la possibilità di condurre il rapporto e di selezionare. Aldo Ricci è ottimista sui nuovi media ed esprime le ragioni di questo ottimismo in un grande tabellone analitico (pannello di riferimento visivo, nda) che intende proporsi come un altro esempio di comunicazione sintetica e abbreviata (…) In cui ‘Il muro dei libri’ è sconfitto dal ‘muro dei satelliti’ e i nuovi media sono la premessa democratica di un’informazione o ‘cultura alternativa’, nella misura in cui possono essere piccoli gruppi od essere gestiti (…) anche individualmente”.

“Ma questo è Facebook bellezza”, diremmo oggi. Tanto è vero che Il quindicinale Spettacoli & Società titolò una mia intervista Il Rinascimento prossimo venturo, in cui pre/vedevo l’autorappresentazione – gli attuali selfie – come il futuro di tutti noi.

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