“Non si torna indietro, lasciare la Ue ci mette davanti a opportunità uniche“. Con queste parole davanti alla Camera dei Comuni Theresa May sancisce l’inizio ufficiale della Brexit. La lettera firmata nella notte dal primo ministro conservatore è stata consegnata dall’ambasciatore britannico a Bruxelles Tim Barrow al presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk. È il documento nel quale Londra invoca l’articolo 50 del Trattato di Lisbona per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea e che dà il via ai negoziati con Bruxelles.

La Gran Bretagna si avvia a lasciare l’Ue “secondo la volontà del popolo“, ha detto May alla Camera dei Comuni pochi minuti dopo la consegna della lettera.  “E’ un momento storico, non si torna indietro – ha proseguito la premier con un discorso venato da sfumature di pronunciato ottimismo – i giorni migliori sono davanti a noi, dopo la Brexit” che per il Regno deve essere un’opportunità per diventare “più forte, più equo e più unito”. Obiettivo: essere un grande Paese “globale“. “Ora più che mai il mondo ha bisogno dei valori democratici dell’Europa”, ha proseguito il capo del governo, ignorando le contestazioni provenienti dai banche delle opposizioni. Per poi ribadire un concetto che risulterà centrale nella trattativa con Bruxelles: Londra non farà parte del mercato unico, in quanto si tratta di una opzione “incompatibile con la volontà popolare” manifestata nel referendum sulla Brexit di restituire al Regno il pieno controllo dei suoi confini e della sua sua sovranità. “L’Ue ci ha detto che non possiamo scegliere” cosa tenere e cosa no, e “noi rispettiamo” questo approccio.

Un passaggio centrale del discorso May lo ha dedicato ai risvolti economici del voto del 23 giugno 2016. “Le previsioni” sulle possibili conseguenze negative “si sono rivelate non corrette“, ha sottolineato il primo ministro, dicendosi fiduciosa sulla tenuta del Paese e definendo la sua economia attuale “forte”. May ha avuto tuttavia avuto un botta e risposta con alcune deputate ‘dissidenti’ del gruppo conservatore, in particolare con Anne Soubry e Nicky Morgan, esponenti uscite dal governo dopo le dimissioni di David Cameron. La prima ha contestato la rinuncia a restare nel mercato unico, ricordando l’interesse della City al riguardo. Mentre Morgan, in modo più sfumato, ha chiesto garanzie su un’intesa commerciale con l’Ue e contro l’ipotesi di un divorzio “senza accordo”. May ha risposto che “una certa dose di incertezza per il business” è “inevitabile” durante la fase negoziale, che conteranno i risultati concreti del negoziato e non la cornice, ma ha comunque ribadito che restare nel single market non è compatibile con la Brexit.

“Dopo nove mesi il Regno Unito ha fatto la Brexit“, ha twittato da parte sua Donald Tusk, su Twitter dopo aver ricevuto la lettera dalle mani di Tim Barrow, pubblicando anche la foto della consegna della missiva e giocando sul doppio significato del verbo “deliver”: “consegnare” ma anche “partorire”, riferendosi ai nove mesi che ha atteso Londra prima di avviare ufficialmente l’addio all’Ue. “Non c’è ragione di pensare che oggi sia un giorno felice – esordisce il presidente del Consiglio Ue nel discorso ufficiale – io e la Commissione abbiamo il forte mandato per proteggere gli interessi dei 27. Non c’è niente da vincere nel processo e parlo per entrambe le parti. In essenza si tratta di una limitare i danni. Il nostro obiettivo è chiaro: minimizzare i costi per i cittadini, le imprese e gli stati membri della Ue”. “Molti europei e quasi la metà degli elettori britannici – ha proseguito Tusk – vorrebbero che stessimo insieme e non ci separassimo. Da parte mia non farò finta che oggi sono felice. Ma paradossalmente c’è anche qualcosa di positivo nella Brexit: ha reso la comunità dei 27 più determinata e più unita di prima. Ho piena fiducia su questo, specialmente dopo la Dichiarazione di Roma“. “Cosa posso aggiungere? (Regno Unito) ci manchi già… Grazie e arrivederci”.

Gli indipendentisti scozzesi: “Non siamo un Regno Unito” – La Brexit non va giù al governo di Edimburgo. Il capogruppo degli indipendentisti scozzesi dello Scottish National Party, Angus Robertson, ha contestato ai Comuni l’affermazione della premier secondo cui l’uscita dall’Ue potrà rendere il Paese “più unito”. Robertson ha insistito sulla richiesta di un referendum sull’indipendenza della Scozia, nel “rispetto del voto democratico” del parlamento di Edimburgo al riguardo e ha ricordato che il 23 giugno “due nazioni del Regno hanno votato per la Brexit e due contro“. Già precedentemente nel Question time May aveva replicato seccata a questa richiesta. Poi ha liquidato il voto del parlamento scozzese come un tentativo d’intervenire su un dossier, la Brexit, “su cui l’assemblea scozzese non ha voce in capitolo dal punto di vista costituzionale”.

Il laburista Corbyn: “No hard Brexit” – L’opposizione laburista “rispetta la volontà del popolo britannico” e quindi la decisione di avviare la Brexit, ma considera “cruciale” il modo in cui il divorzio verrà negoziato dal governo conservatore. Lo ha detto ai Comuni il leader del Labour, Jeremy Corbyn, replicando alla May. Contestando le posizioni dei conservatori di governo più radicali e l’illusione che la Brexit possa avvenire senza conseguenze per l’economia del regno e gli standard di vita della popolazione, Corbyn ha detto no in particolare a un’uscita dall’Ue “senza accordo”. “Uscire senza accordo sarebbe di per sé un cattivo accordo“, ha chiarito il leader laburista sfidando May a dissociarsi dai sostenitori di una hard Brexit e a dare garanzie che il divorzio da Bruxelles non comporterà meno tutele per i lavoratori e non trasformerà il Regno Unito in un “malfamato paradiso fiscale“.

Hammond: “Dobbiamo ottenere il migliore risultato per i negoziati sul Regno Unito” – Uscire dall’Ue avrà conseguenze, perché Londra non sarà più membro del mercato unico europeo o pieno membro dell’unione doganale. Ma secondo il cancelliere dello Scacchiere britannico, Philip Hammond, è possibile negoziare un accordo che renda minime le frizioni ai confini, cosa che ha definito di “importanza vitale” per l’Irlanda del Nord, dove il confine con l’Irlanda sarà il solo confine di terra con l’Ue. “Nessuno su nessun lato di queste discussioni vuole vederci tornare al confine rigido dei tempi andati”, ha aggiunto in un’intervista a Sky News.

O’Donnel: “Sarà più difficile di una guerra” – Ma l’uscita dall’Ue sarà un’impresa più difficile “di una guerra” per lord Gus O’Donnell, ex capo di gabinetto nei governi di Tony Blair, Gordon Brown e David Cameron e per oltre sei anni al vertice assoluto dei funzionari pubblici del regno. Parlando alla Bbc, O’Donnell ha paragonato le procedure fissate dall’articolo 50 a una sfida: “E’ come saltare da un aereo con un paracadute disegnato da persone che restano sull’aereo e disegnato in modo tale da scoraggiare chiunque a lanciarsi“. Una sfida, ha insistito, “più grande di qualsiasi cosa mi sia mai occupato – guerre, coalizioni- poiché riguarderà ogni parte e ogni persona di questo paese, sarà imponente”.

Juncker: “Rimpiangeranno la scelta” – “Questo è un giorno triste perché i britannici hanno deciso per iscritto di lasciare la Ue, una scelta che rimpiangeranno un giorno. Ma mi sento bene stasera perché abbiamo parlato del nostro futuro – ha detto il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker – nonostante le debolezze e gli errori, dobbiamo considerare che l’Ue è il miglior posto in cui vivere nel mondo”, ha aggiunto.

Gentiloni: “Choc sia occasione per risveglio” – “L’Italia lavora affinché lo choc di Brexit sia l’occasione per un risveglio europeo. Come accaduto altre volte in questi 60 anni, dai momenti di difficoltà l’Unione può ritrovare le ragioni della propria identità e del proprio avvenire”, il commento del presidente del Consiglio Paolo Gentilon., che riguardo ai negoziati ha sottolineato l’importanza di difendere i “nostri interessi nazionali, sia sul piano economico, sia su quello dei diritti acquisiti dai nostri concittadini in Gran Bretagna”.

Hollande: “Sarà dolorosa per i britannici”. Merkel: “Non ci auguravamo questo giorno” – “La Brexit sarà dolorosa per i britannici”. E’ la previsione del presidente francese François Hollande che si trova in visita in Indonesia. “E’ una scelta che obbliga l’Europa a progredire, senza dubbio con delle velocità differenti”, ha concluso il presidente. Toni più morbidi ha usato da Berlino il ministro degli Esteri tedesco Sigmar Gabriel: “I negoziati non saranno facili per nessuna delle parti coinvolte”, “per molti è difficile capire, specialmente in questi tempi turbolenti, come qualcuno possa pensare che starà meglio da solo”. “Noi, la Germania e gli altri partner europei, non abbiamo certamente desiderato questo giorno”, il commento di Angela Merkel.

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