Anche uno dei più temibili mostri cosmici può essere messo in fuga. L’oggetto celeste che, per definizione, non lascia passare nulla lungo il proprio cammino, un buco nero, in grado di stringere in un abbraccio fatale tutto ciò che gli capiti a tiro, luce compresa, è stato sfrattato dalla galassia che lo ospitava. E tutto ciò malgrado la sua massa fosse considerevole, circa un miliardo di volte quella del nostro Sole.

Cosa può averlo cacciato via tanto violentemente da imprimergli una velocità enorme: 7,5 milioni di chilometri all’ora, una velocità necessaria a coprire la distanza Terra-Luna in appena tre minuti? In un certo senso, è stato lo stesso buco nero l’artefice del proprio destino. A raccontarci questa affascinante avventura cosmica, un osservatore privilegiato: lo sguardo attento del celebre telescopio spaziale Hubble, che da più di un quarto di secolo ci regala alcune tra le più belle immagini dell’universo. Teatro degli eventi una galassia lontana, distante circa 8 miliardi di anni luce dal sistema solare. Al centro di questa galassia si è verificato un cataclisma cosmico, uno scontro tra titani. Una fusione tra due buchi neri, una collisione in formato extralarge rispetto a quella che poco più di un anno fa ha offerto agli scienziati la possibilità di ascoltare, per la prima volta, un evento atteso da oltre un secolo: il brusìo dell’universo sotto forma di onde gravitazionali. È stata questa collisione a generare il mostro cosmico, adesso in fuga.

Ma chi lo ha spaventato? Secondo gli scienziati di Nasa ed Esa, che hanno illustrato i dettagli dello sfratto cosmico in uno studio in corso di pubblicazione sulla rivista Astronomy&Astrophysics, sarebbero state proprio le onde gravitazionali. Per scagliare via a forza un gigante di un miliardo di Soli occorre, però, un’energia che si fa fatica ad immaginare. Quella equivalente alla somma di 100 milioni di supernove, le immani esplosioni di stelle, almeno dieci volte il Sole, giunte alla fine del proprio ciclo vitale. Esplosioni che sono tra i fenomeni più brillanti dell’intero universo: basti pensare che una supernova può emettere nell’arco di alcune settimane o mesi la stessa radiazione sprigionata dal Sole durante la sua intera esistenza. Le onde gravitazionali, increspature dello spazio-tempo previste da Einstein nella sua teoria della Relatività Generale, sono in grado di garantire queste energie record. Sono loro che, incurvando la trama elastica del cosmo, hanno spinto lontano il buco nero. In un certo senso, come quando dopo pranzo scrolliamo una tovaglia per allontanare le briciole.

Il telescopio spaziale Hubble ha osservato il risultato di questa cacciata via da casa. Ha rivolto il suo sguardo lontano di miliardi di anni. Ma non ha potuto guardare direttamente il buco nero buttato fuori, invisibile alla luce per definizione, dato che divora anche i fotoni. Ha, invece, catturato una fonte luminosa, dall’aspetto puntiforme come una stella, ma che un astro non è. Gli esperti hanno identificato il segnale osservato in una sorgente radio molto brillante, un quasar, nome proprio 3C 186. Una sorgente che rappresenta un po’ la controparte luminosa di un buco nero. La particolarità è che quest’oggetto non si trovava dove avrebbe dovuto essere, ovvero al centro della galassia/casa. Era, invece, piuttosto decentrato, a più di 35 mila anni luce dal cuore della galassia. Una distanza superiore a quella che separa il Sole dal centro della Via Lattea.

Appena ho guardato le immagini di Hubble, ho pensato subito che ci trovavamo davanti a qualcosa di veramente particolare – sottolinea l’italiano Marco Chiaberge, astrofisico dello Space Telescope Science Institute (STScI) e della Johns Hopkins University, primo autore dello studio -. Mi sarei aspettato di vedere molte galassie nell’atto di fondersi, e altre dalle strutture irregolari circondare quasar brillanti. Ma non di osservare un quasar così lontano dal nucleo di una galassia di forma regolare. I buchi neri si trovano, infatti, nel centro delle galassie, ed è quindi raro – spiega l’esperto – trovare un quasar così defilato”. Quale sarà adesso il destino di questo buco nero, una volta messo alla porta della galassia che lo ospitava? “A questo ritmo – conclude Alessandro Capetti, dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), uno dei firmatari della ricerca -, il buco nero sfuggirà definitivamente alla galassia in 20 milioni di anni. Vagando per sempre nello spazio profondo”.

Lo studio in corso di pubblicazione

Credits:NASA, ESA, e A. Feild (STScI)

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