“Conciliare lavoro e famiglia non è cosa facile all’estero: figuriamoci in Italia”. Da Foligno ai Paesi Bassi, passando per la Svizzera. È la storia di Silvia Paolucci, mamma e ricercatrice. Biologa evoluzionista con PhD a Groningen, in Olanda, e postdoc a Losanna, in Svizzera. Aspettando una chiamata dall’Italia: “Ho inviato decine di cv, purtroppo inutilmente”, racconta.

Dopo la laurea in Biologia all’Università di Perugia nel 2006, Silvia ha vinto una borsa di studio per un tirocinio all’estero. “Avevo fatto mesi di volontariato nel mio dipartimento, ero disoccupata, giovane e piena di voglia di girare il mondo – ricorda – Così sono finita in Olanda”. Per 10 mesi Silvia diventa una sorta di tuttofare all’interno del laboratorio di immunologia di Wageningen, piccola città olandese nella provincia della Gheldria. Anche se non era propriamente il settore per il quale aveva studiato, l’esperienza è stata fondamentale dal punto di vista pratico: “L’università italiana mi ha dato una laurea e l’abilitazione professionale senza mai insegnarmi a stare in laboratorio, prendere in mano una pipetta o spigarmi come si analizzano i dati”.

“Ho passato un anno a mandare cv a enti, università e centri di ricerca. Gli italiani non mi rispondevano mai”

Nell’estate del 2007 Silvia è di nuovo in Italia. “Ho passato un anno a cercare lavoro, mandare cv a enti, università e centri di ricerca per poter lavorare come biologa evolutiva o ecologa. Gli italiani non mi rispondevano mai”, racconta. Poi, la selezione per il dottorato a Groningen, ancora in Olanda, ottenuta nel novembre 2008, all’interno di una collaborazione tra 4 grandi università europee: Silvia si occupa di studio della biodiversità, di genetica dell’adattamento e di ecologia. “Il mio lavoro mi ha portato a fare lunghi viaggi in giro nei boschi per campionare e studiare sul campo le popolazioni di insetti in Finlandia, Lettonia, Germania, Svizzera, ma anche Canada e Stati Uniti”.

Dopo il dottorato Silvia si sposta ancora all’estero, stavolta in Svizzera, all’Università di Losanna, dove trova lavoro come postdoc, l’equivalente di un assegnista di ricerca in Italia, ma con un contratto di lavoro vero. Anche qui, nei 3 anni di esperienza, lavoro pratico: due viaggi nel deserto dell’Arizona per i campionamenti, esperimenti in laboratorio e parte dedicata alla bioinformatica.

“Ho sempre voluto fare la ricercatrice nel mio Paese. Purtroppo non sono riuscita ancora a trovare un’opportunità”

Alla fine dell’esperienza in Svizzera nell’agosto del 2016 Silvia rientra in Italia: “Ho sempre voluto fare la ricercatrice nel mio Paese – racconta – Purtroppo non sono riuscita ancora a trovare un’opportunità”. Eppure ci ha provato, Silvia, facendo concorsi per assegni di ricerca in vari atenei italiani, scrivendo progetti e contattando enti pubblici e privati, tutti senza esito positivo: “Spesso i bandi sono cuciti a misura per determinate persone e non viene data la possibilità a tutti di entrare. Non voglio generalizzare – continua –, ma vengono richieste esperienze in un determinato progetto che è difficile acquisire da esterno”.

A fine settembre 2016, poi, Silvia è diventata mamma. “Per qualche tempo ho dovuto necessariamente fermarmi”. Ora, però, ha ripreso a lavorare per poter accedere a concorsi e selezioni, in Italia e all’estero. “Spero di poter scrivere progetti e chiedere finanziamenti. Voglio andare avanti e rimettermi in gioco”. La ricerca scientifica è un lavoro che prende molte ore di impegno, dedizione e concentrazione: tempo sottratto alla famiglia e ai figli. “In Olanda e Svizzera, grazie a un sistema flessibile con concedi parentali pagati, part time e asili all’interno delle università, era possibile conciliare lavoro e famiglia – spiega Silvia – Forse in Italia siamo ancora indietro”.

“Spostarci in tre con una bimba sarebbe difficoltoso, ma con spirito di adattamento e un pizzico di creatività tutto è possibile”

La ricercatrice di Foligno non si è mai sentita un cervello in fuga, “piuttosto uno in movimento”, sorride. Viaggiare all’estero non è, insomma, un requisito per scappare dall’Italia, ma una condizione che caratterizza scienziati e ricercatori di tutta Europa. “Io ho lavorato con cinesi, colombiani, spagnoli, peruviani, russi, finlandesi, inglese e francesi: la ricerca è un mondo mobile – spiega – che richiede sacrificio ma ti dà la possibilità di viaggiare senza limiti”.

La speranza per Silvia è quella di rimanere in Italia, insieme a suo marito (ricercatore in ingegneria informatica): “Stiamo cercando di fare di tutto per poter restare e svolgere il nostro lavoro qui”. L’estero rimane una possibilità: “Spostarci in tre con una bimba sarebbe difficoltoso, ma con spirito di adattamento e un pizzico di creatività tutto è possibile”, sorride. Con un obiettivo ben preciso: “Voglio dimostrare che con impegno, organizzazione e sostegno da parte del sistema sociale tutti, anche le mamme ricercatrici, – conclude – ce la possono fare”.

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