Le indagini sulla stagione stragista degli anni Settanta non se la passano tanto bene. A Bologna, per la bomba che il 2 agosto 1980 uccise 85 persone e ne ferì oltre 200, si indagava sui mandanti e la procura nei giorni scorsi ha richiesto l’archiviazione del filone (si va avanti invece sull’ex nero Gilberto Cavallini, accusato di concorso in strage e destinatario di un avviso di fine indagine). Se l’Associazione tra i familiari delle vittime ha presentato opposizione, al momento per la procura “nulla di concreto è emerso”.

Invece a Brescia – dove cresce l’attesa in vista del prossimo 20 giugno, quando la Cassazione si pronuncerà sugli ergastoli inflitti a Maurizio Tramonte e Carlo Maria Maggi nel secondo processo d’appello – le indagini sui mandanti proseguono. Peccato che in questo caso si sia perso un pubblico ministero di valore, Francesco Piantoni, che dal 1993 lavorava sulla strage di Piazza della Loggia del 28 maggio 1974. Arrivato alla procura generale di Roma lo scorso autunno dopo trentatré anni di servizio a Brescia, per lui era stata inoltrata richiesta di applicazione al Consiglio superiore della Magistratura. In altre parole, era stato chiesto che Piantoni, colui che conosce meglio le carte, potesse dedicare al Brescia quater una parte della sua settimana lavorativa. Esito negativo. Il Csm ha rigettato la richiesta.

Le indagini a Brescia continuano con altri pm, certo. Ma senza un pezzo fondamentale. Un pezzo che, solo per citare quanto scoperto negli ultimi anni da Piantoni insieme al procuratore dei minori, Emma Avezzù, ha portato a Marco Toffaloni, che nel 1974 non aveva nemmeno 17 anni e che per gli inquirenti il 28 maggio era in piazza della Loggia, e a un secondo minorenne, un neofascista della provincia di Verona. Ma soprattutto, ancor prima dei giovanissimi ordinovisti in campo, le indagini puntano al livello superiore, quello dei mandanti.

Tra di loro c’è Carlo Maria Maggi, già condannato per quanto non ancora in via definitiva. Tuttavia non c’è solo lui. Dettagli su questo punto non ce ne sono molti, dato che le indagini sono in corso. Qualcosa si può intuire però da quanto la procura di Brescia ha trasmesso all’aggiunto di Palermo Vittorio Teresi e ai sostituti Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, i pm che rappresentano l’accusa nel processo sulla trattativa Stato-mafia, tuttora in corso.

Perché Brescia ha trasmesso atti a Palermo che ha provveduto a depositarli? Intanto per l’assonanza della “campagna” bombarola contro le opere d’arte. Una campagna che, quasi vent’anni prima della stagione stragista di Cosa nostra fuori dalla Sicilia, era stata anticipata nel 1974 da Ordine Nuovo, in cerca di vendetta per lo scioglimento decretato a fine 1973. A parlarne è stato Umberto Zamboni, ordinovista di rango morto nell’ottobre 2015. Nel luglio precedente aveva raccontato dell’intenzione dei neri veneti di attuare una serie di “attentati contro opere d’arte e infrastrutture pubbliche, con ciò intendo anche dighe, ma non caserme dell’Arma, della finanza, della polizia o tribunali”. Dove? Non si parlava solo “del Veneto o del Triveneto, ma dell’Italia”.

In rapporto a Cosa nostra e alle bombe del 1993, Brescia, trasmettendo determinati atti a Palermo, parla di un “metalinguaggio eversivo identico“. Un metalinguaggio declinato da elementi di vertice con esponenti dell’intelligence italiana e statunitense. I servizi segreti, come accade sempre in queste storie, sono presenze costanti. Un loro collaboratore era Caterino Falzari, il titolare della pensione Giada di Cattolica presso cui il 1 marzo 1974 si era riunito lo stato maggiore di Ordine Nuovo. Di elementi del genere c’è traccia fin dal 1976, nella sentenza per gli attentati di On, e nel 1986 Falzari disse al giudice istruttore di Bologna Leonardo Grassi di essersi “prestato a svolgere traduzioni per conto dei carabinieri, verso il 1970 ho avuto contatti con funzionari del Sid”.

Tra questi c’è un giovane militare, ai tempi un capitano, che Zamboni dice di aver incontrato due o tre volte e di averlo visto nella pensione di Cattolica. Solo con le indagini di Piantoni si arriva a dare un nome a quel giovane capitano, il prefetto Mario Mori, oggi sotto processo a Palermo. Facendo emergere un’ulteriore particolarità. Falzari era un profugo bulgaro (era nato nel 1927 a Klisura, nella provincia di Plovdiv) mentre Mori, secondo quanto disse il maggiore del Sid Mauro Venturi, ai tempi si sarebbe occupato della Bulgaria ed era comunque comandante del sottocentro III competente per i Paesi d’oltrecortina.

Le carte non ancora consultabili del Brescia quater potrebbero aggiungere ulteriori particolari per capire quale fosse il reticolo di movimenti e relazioni che si muoveva intorno (e attraverso) Ordine Nuovo nel 1974, l’anno delle due stragi (il 4 agosto fu la volta del treno Italicus, 12 vittime e 48 feriti). Al momento si resta in attesa di poterle leggere. Ma nel frattempo ci sono una speranza e una delusione. La delusione è il rigetto della richiesta di applicazione di Piantoni, proprio il magistrato che è arrivato a far emergere questi elementi. La speranza è che la procura di Brescia non si fermi davanti alla delibera del Csm, ma che continui a chiedere – fino a ottenerlo – il suo supporto.

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