Nel mio ultimo post avevo avviato una riflessione sul possibile impatto delle nuove tecnologie sulla tradizionale struttura dei rapporti di lavoro dipendente. In particolare, avevo evidenziato la possibilità che la radicale riduzione nei costi di transazione tra individui, potesse indurre in alcuni processi aziendali la sostituzione di rapporti di lavoro tradizionalmente a tempo pieno, con una serie di transazioni verso numerosi operatori free lance.

Questo schema di riferimento, risulta utile anche per valutare la discussione sui voucher che al momento sembra caratterizzata maggiormente dai pregiudizi ideologici e dalle preferenze politiche, piuttosto che da una concreta valutazione degli interessi economici delle parti in causa.

Visto che in base agli ultimi aggiornamenti sembrerebbe abbia prevalso la linea della ricerca di consenso a breve termine, provo ad argomentare di seguito perché a mio avviso, l’eliminazione di questo strumento costituirà un passo indietro in nome di una concezione anacronistica del mercato del lavoro e in ultima analisi finirà per danneggiare esattamente i lavoratori più deboli.

La prima conferma in questa direzione viene dal comportamento degli stessi sindacati.  Prendendo a prestito la terminologia dell’economista premio Nobel Paul Samuelson e delle sua celebre Teoria delle preferenze rivelate osserviamo che mentre Susanna Camusso dichiara il proprio rifiuto dei voucher al punto di paragonarli ai “pizzini” dei mafiosi il fatto che i sindacati li utilizzino rivela chiaramente una preferenza: gli stessi proponenti del referendum ritengono che lo strumento che vogliono abrogare sia al momento lo strumento legale più appropriato per regolare determinati rapporti di lavoro.

Che forma contrattuale utilizzeranno allora per i casi in questione quando i voucher saranno aboliti? Pagheranno in nero? O negheranno il lavoro ai soggetti che oggi vengono pagati con quell’odioso strumento?

Venendo poi all’argomento centrale a supporto dell’abolizione, ossia il fatto che favorisca il lavoro precario e possa consentire ai datori di lavoro di aggirare la normativa sui contratti più stabili si può osservare che si tratta di un’ipotesi debole e a ben guardare confonde causa ed effetti. E’ debole perché, stanti i limiti previsti dalla normativa, in particolare in termini di importo massimo che un lavoratore può ricevere (2000 euro da un singolo datore e 7000 in totale annuo), di fatto chi volesse abusare dei voucher avrebbe le seguenti alternative:

1 – Scegliere di non assumere un nuovo lavoratore e di avviare n rapporti basati sui voucher

2 – Sostituire un posto di lavoro con almeno 6 -7 rapporti basati su voucher (ipotizzando un compenso annuo di 12-14mila euro),

3 – Utilizzare un numero di voucher inferiore alle ore effettive di fatto mascherando l’attività svolta in nero

E’ abbastanza evidente che l’ipotesi n° 3 presenta gli stessi rischi, in caso di ispezione, di ricorrere al lavoro nero e sarebbe reso impossibile dell’attivazione telematica dei voucher, dunque non vi è alcun incentivo specifico derivante dall’esistenza dello strumento.

Nel caso dell’ipotesi n° 2 si può osservare che il datore di lavoro dovrebbe sostenere

1 – I costi di licenziamento per il lavoratore “sostituito”

2 – I costi di transazione nella ricerca e gestione dei vari sostituti

3 – Il rischio evidente ed alto di contestazioni per il comportamento adottato

Ammesso e non concesso che i 6 o 7 sostituti esistano e siano disponibili è alquanto probabile che i costi controbilancerebbero il risparmio derivante dall’abuso ipotizzato.

L’ipotesi n° 1 è la più emblematica, perché se il numero di voucher impiegati è troppo elevato, si pongono i costi di transazione e i rischi di contestazioni evidenziati nel caso n° 2, se non lo è allora non esiste abuso e si sta correttamente impiegando lo strumento per esigenze occasionali.

Sul piano della causalità, se uno strumento è concepito per regolare rapporti di lavoro episodici e a basso costo, il fatto che venga impiegato in misura maggiore è più probabile che segnali un aumento (per motivi di necessità o di opportunità) delle persone disposte a svolgere questo tipo di lavori, che non una corsa delle imprese a “sostituire” i contratti, anche perché l’attuale normativa prevede costi rilevanti per rescindere i rapporti in essere.

Se dunque un’analisi anche superficiale denota come la convenienza ad abusare dello strumento sia difficile da argomentare e dunque le resistenze ad esso di carattere politico e ideologico è abbastanza agevole individuare i danni derivanti dalla sua ipotetica abolizione: in assenza di uno strumento che renda possibile una gestione semplificate e meno onerosa regolare dei rapporti di lavoro episodici, questi verranno svolti in maniera irregolare, con mancato versamento di imposte e contributi, oppure non verranno svolti affatto danneggiando le persone che avrebbero desiderato lavorare a quelle condizioni.

 @massimofamularo

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