di Sergio Galleano *

Sembrava un buon periodo per i precari della pubblica amministrazione. La sentenza Mascolo aveva in parte risolto la situazione dei docenti della scuola, costringendo il governo a regolarizzare un buon numero di docenti e la Corte costituzionale con la sentenza 187 del 2016 aveva certificato questa scelta come la più “lungimirante” rispetto al semplice risarcimento del danno per il personale Ata e gli altri precari. Nel frattempo il Quirinale aveva provveduto a stabilizzare i propri precari al fine di adeguarsi alla normativa nazionale ed europea.

Allo stesso tempo, nel settembre scorso, la Corte europea aveva reso tre sentenze sul precariato spagnolo, tra cui la Martinez Andres, in forza della quale il Tribunale di Foggia ha sollevato una questione di costituzionalità, rilevando nel nostro ordinamento una disparità di trattamento tra i precari dipendenti delle pubbliche amministrazioni che lavorano per più di 36 mesi, che non possono essere assunti perché non hanno superato un concorso e quelli delle Fondazioni lirico sinfoniche, ai cui dipendenti si applica invece il diritto privato secondo la sentenza della Corte costituzionale n. 260 del 1° dicembre 2015, con l’effetto che in caso di superamento del 36° mese di servizio a termine, il rapporto diveniva automaticamente a tempo indeterminato, nonostante tali Fondazioni fossero ritenute pacificamente enti pubblici.

Ai dipendenti di queste Fondazioni si aggiungevano quelli delle aziende pubbliche partecipate che godevano dello stesso trattamento, più favorevole rispetto ad altri dipendenti pubblici, a seguito di una sentenza delle Sezioni unite della Cassazione del 9 marzo 2015.

Questa evoluzione positiva non è risultata gradita alla Corte di Cassazione nell’attuale composizione.

In primo luogo le Sezioni unite, smentendo il proprio, consolidato orientamento, hanno – nel dicembre scorso – deciso che le Fondazioni liriche non sono più organismi pubblici, ma enti privati. Nel febbraio di quest’anno poi, la Corte ha stabilito che anche i dipendenti delle società partecipate debbono essere assunti con concorso, impedendo così anche per loro la conversione del rapporto prima legittimata dalle Sezioni unite: queste due decisioni tentano chiaramente di depotenziare l’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale del Tribunale di Foggia, avendo lo scopo di eliminare in radice le discriminazioni che potevano portare la Consulta a una pronuncia favorevole ai precari pubblici.

In secondo luogo, con diverse sentenze del novembre 2016 la Sezione lavoro della Cassazione ha di fatto depotenziato la sentenza Mascolo e la decisione 187 della Corte costituzionale: la Corte ha infatti stabilito, per i docenti non stabilizzati, che solo alla quarta supplenza annuale si configura l’abuso che dà diritto unicamente al risarcimento del danno, risarcimento che, per di più, spetta solo se il docente precario prova di avere lavorato su posto vacante, mentre da sempre aveva affermato che l’onere della prova spettava al datore di lavoro. La questione non è di poco conto, poiché provare questa circostanza è pressoché impossibile per il lavoratore, tanto più che la Cassazione aveva da anni sviluppato il concetto di “vicinanza alla prova”, imponendo a chi è in possesso degli elementi di fatto rilevanti in causa (nella specie il Miur che predispone gli organici degli istituti scolastici) l’obbligo di depositarli in causa.

Inoltre, ha imposto ai docenti che avevano ricevuto un risarcimento per l’abuso subìto di restituirlo se nel frattempo sono stati immessi in ruolo per qualunque titolo: in pratica, chi non è ancora stato stabilizzato potrà ottenere un risarcimento, ma dovrà restituirlo se verrà assunto in ruolo. Si tratta di una decisione non solo del tutto errata in diritto, ma che si caratterizza soprattutto per la oggettiva cattiveria e la esplicita indicazione dissuasiva ai precari che vogliono fare causa.

Come si vede, a fronte di un quadro che sembrava dare luce alla possibilità di risolvere con una stabilizzazione il problema del precariato pubblico, anticipato anche dalle recenti dichiarazioni del ministro Madia sulla riforma del Pubblico impiego, la Cassazione interviene invece a gamba tesa con l’effetto di complicare il processo in corso, blindando ogni possibilità di conversione dei rapporti e riducendo a valori insignificanti il risarcimento del danno (sulla cui misura pende infatti avanti alla Corte di giustizia una questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale di Trapani).

In questa situazione, il 22 marzo verranno discusse al Parlamento europeo, in seduta pubblica, diverse petizioni di precari italiani sulla mancata stabilizzazione del loro posto di lavoro. Non possiamo che augurarci che le forze politiche presenti a Bruxelles si attivino per obbligare l’Italia a risolvere definitivamente e dignitosamente una questione che non fa certo onore a uno dei paesi fondatori dell’Europa.

* Avvocato giuslavorista, socio AGI. Opera nei suoi studi di Milano e Roma che si occupano di diritto del lavoro pubblico e privato, sempre ex parte lavoratoris, seguendo personalmente le cause in Cassazione, in Consiglio di Stato e in Corte costituzionale. La difesa dei lavoratori a termine è iniziata negli anni ’80 e, dal settore privato, si è via via estesa a tutti i settori, con particolare attenzione al pubblico impiego e nel mondo della partecipate pubbliche, come Poste italiane, difendendo i docenti della scuola in Corte europea a Lussemburgo.

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