Carminati non era un personaggio qualsiasi nella Roma nera: “Ad un certo punto iniziava a temere indagini su di lui, sul fronte Finmeccanica: mi diceva che portava i soldi per questa società ai politici nazionali”. Soldi veri, ci tiene a precisare Salvatore Buzzi, mettendo in secondo piano gli affari delle cooperative sociali: “Qui stiamo parlando di Mafia Capitale ma è nell’appalto della metropolitana di Roma C che si concentra tutto, quello è il più grande appalto. Li c’è Finmeccanica, il gruppo Caltagirone e quello Toti e noi stiamo appresso a mafia capitale, ma questo è il vero filone”.  La figura di Carminati diventa importante per Buzzi, una sorta di passe-partout per entrare nel mondo dei neri arrivati con Alemanno, secondo la tesi dell’accusa. Quando Riccardo Mancini, amministratore dell’ente Eur, ritarda il pagamento delle commesse per gli appalti che vedevano un interesse del “cecato”, interviene: “Carminati non si capacitava con questa cosa… e che doveva fare? Mancini mi fa un bonifico da 150mila euro; gli spiego che non avremmo potuto pagare le tredicesime”.

“Levame ‘sti nomadi”
L’ultimo capitolo del racconto di Salvatore Buzzi si è poi concentrato sul campo nomadi sulla via Pontina, alle porte di Roma: “Prima erano vicino all’università Roma 3 e il rettore disse a Veltroni ‘”levame ‘sti nomadi da qui’ – ha raccontato Buzzi – Il comune prova a mandarli sull’Aurelia, ma non ci riesce”. Ed ecco che entra in scena Odevaine, “che fa un capolavoro”. “Acquista un terreno dal gruppo industriale di Deodati, si mette d’accordo con la Regione Lazio all’epoca di Marrazzo, e sposta questi 1000 nomadi”. Per il successo dell’operazione vengono “versato tutti i mesi 15 mila euro a testa ai due capi tribù, attraverso cooperative e associazioni. Ma era tutto regolare… Un vero capolavoro!”. Un sistema “di lotta e di governo”.

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Mafia Capitale, la verità di Buzzi: “Io e Carminati come Totò e Peppino. Le tangenti? Eravamo di lotta e di governo”

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