Alcuni giorni fa ho incontrato un ragazzo, figlio di miei amici, impiegati pubblici, compagni, a loro volta figli di compagni contadini, quelli di una volta che zappavano la terra e coltivavano la speranza di seminare ciò che un giorno avrebbe fatto germogliare un mondo più giusto, più eguale.

Luca M. ha 25 anni, si è laureato con 110 e lode in Lettere moderne in una prestigiosa università toscana. Dopo aver presentato domanda per la borsa di studio per il Dottorato di ricerca ed essere stato escluso a vantaggio di uno dei soliti “figli di” su insistenza degli stessi docenti rimasti basiti ha inoltrato la domanda all’Università di Toronto e alla Columbia University. Le ha vinte entrambe ma lui ha scelto New York. Avete capito bene: l’università dove si è laureato, dove conoscevano le sue capacità lo ha rifiutato ed è stato scelto da due università straniere sulla base del curriculum ignorando, ovviamente, la sua provenienza sociale.

Ora Luca sta portando avanti il Dottorato di ricerca, durata 5 anni, che prevede, dopo il primo anno, l’insegnamento di Letteratura italiana: “Tolte le tasse mi restano 30mila dollari l’anno con cui mi pago la casa e ci mangio”. Mi ha raccontato orgoglioso. Ma nei suoi occhi, mentre parlava, ho colto un velo di tristezza. Quella tristezza per aver dovuto cedere ad un’ingiustizia e, forse, anche, questo lo deduco io, per non aver avuto la forza di denunciare l’ingiustizia subita, consapevole che avrebbe finito per danneggiarlo. I corruttori e i corrotti, come si sa, sono anche vendicativi. Tutto questo perché? Perché lui non ha né padrini né padroni e può contare solo sulla sua passione, sulle sue capacità, sulla sua umana ambizione e sull’orgoglio della storia famigliare da cui proviene.

Il danno provocati sui giovani, da un Paese capovolto che ignora il merito e premia i raccomandati, al di là della decrescita umana e culturale, e non è poco, è lo svilimento. La privazione della forza per battersi, per ribellarsi, che, inevitabilmente conduce alla rassegnazione e alla fuga. La cosiddetta fuga dei cervelli che lascia sul campo corpi asserviti, senza dignità e onore.

Caro Luca, sento di doverti chiedere scusa per la mia parte, se questo è il presente vuol dire che la mia generazione forse, non ha fatto abbastanza. Ma vorrei tanto che non dimenticherai l’umiliazione subita dalla tua giovinezza, densa di sapere e curiosità e, non rinuncerai, quando un giorno tornerai, a combattere contro chi ti ha costretto ad andartene per costruire il tuo futuro senza pesare sulla tua famiglia. Sarà un atto di grande generosità il tuo per questo Paese che ci sta morendo sotto gli occhi.

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