La pozzolana! Perché i libri di storia scolastici non mi hanno mai parlato del segreto della potenza di Roma antica e devo scoprirlo alla mia età su History Channel? Gli antichi romani erano pontefici massimi (termine rimasto in uso oltre Tevere) ovvero costruttori di ponti, acquedotti, reti fognarie, porti ed edifici di altezze sorprendenti con una tecnologia superiore a quella delle civiltà coeve o precedenti, capaci al massimo di sorprenderci costruendo, dalle piramidi alle mura ciclopiche o ai templi greci, mediante lo spostamento di pesanti monoliti. Ma la pozzolana, questo composto di origine vulcanica capace di solidificare anche in acqua, rappresenta tutt’altra tecnologia costruttiva, quella che ad esempio fa sopravvivere dopo quasi duemila anni un edificio come il Pantheon con la sua cupola aperta al centro. Scriveva Marco Vitruvio Pollione nel suo libro De Architectura: «Esiste una specie di polvere chiamata “pozzolana” che per natura possiede qualità straordinarie. Si trova nella Baia di Napoli e nelle terre circostanti il Vesuvio. Questa polvere, mescolata con calce e sabbia rende la muratura talmente stabile che questa indurisce non solo negli edifici normali, ma anche sotto l’acqua».

Ma la pozzolana è solo uno degli spunti colti en passant nei canali tematici dedicati alla Storia come quello di National Geographic oltre al citato History Channel. Scopri così che nel lago di Nemi (speculum Dianae) non solo erano state costruite due immense ville galleggianti, ma per evitare esondazioni che disturbavano il tempio di Diana sul litorale, i romani pensarono bene di creare, sul fianco del cratere vulcanico in cui ha sede il lago, un tunnel di scolo quando l’acqua raggiungeva un certo livello così come in uso nei moderni lavandini, solo che i romani fecero scavare questo canale da entrambi i versanti incrociandosi in profondità con uno scarto minimo e la giusta pendenza. E che dire dei sedici mulini contrapposti in due file di otto su un crinale del fiume Rodano dove l’acqua che cadeva sulle ruote dall’alto, in modo più efficiente, alimentava il motore di un impianto di macinazione del grano che sembra aver anticipato la rivoluzione industriale: la più grande concentrazione di energia meccanica del mondo antico. Supremazia tecnologica, ma non solo. Siamo abituati dai libri di storia a riconoscere ai romani capacità di governo di un impero multietnico e, in campo militare, tutte le tecniche di guerra, compresa quella psicologica come quando Giulio Cesare fece costruire in pochi giorni un ponte su un fiume che rappresentava per delle popolazioni barbare una difesa naturale e, dopo averle spaventate e messe in fuga senza neanche uno scontro, lo fece smontare.

Abbiamo uno dei patrimoni archeologici più importanti al mondo e ci raccontiamo di avere una buona scuola e un prestigioso liceo classico che però non sforna classicisti neanche lontanamente paragonabili a quelli inglesi come Mary Beard dell’Università di Cambridge (“Vi presento i romani”, su History Channel). Non giova a nulla avere un grande patrimonio o un grande prodotto se poi non lo sai raccontare. Abbiamo imparato a raccontare il cibo e il suo territorio, ma non sappiamo raccontare il nostro immenso patrimonio culturale. La cultura deve essere inclusiva, non esclusiva, bisogna saper divulgare, suscitare la curiosità, trasmettere la passione. E non si può amare e poi trasmettere ciò che non si conosce.

Negli ultimi venti anni, Palermo pur con tutte le sue contraddizioni ha promosso con successo due iniziative culturali molto popolari: la scuola adotta un monumento e le vie dei tesori. Due modi per far conoscere i monumenti innanzitutto ai cittadini con guide volontarie e un rigore scientifico compatibile con il taglio divulgativo. Questa è la strada da seguire e ora che il servizio pubblico ha recuperato in bolletta il canone evaso non ci dovrebbero più essere scuse a fare della Rai uno strumento di identità culturale come già lo fu ai suoi inizi insegnando agli italiani dei mille campanili a parlare la stessa lingua e a scriverla con l’ausilio del maestro Manzi. Quindi meno eruditi del mondo classico e più classicisti capaci di parlare ad un pubblico moderno con tutte le tecnologie che i tempi consentono, dalle ricostruzioni sotterranee mediante laser 3D a quelle digitali con la qualità dei videogiochi. E se non siamo capaci di produrre questi programmi, compriamoli dalla Bbc.

Articolo Precedente

Lettura dei libri, i dati dicono che è una débâcle. Soprattutto per la saggistica

next
Articolo Successivo

‘Red Riding Quartet’ di David Peace, il racconto dell’Inghilterra più oscura

next