Cultura

Tutti vogliono Kent Haruf: così lo scrittore statunitense dà il via alla riscossa dei piccoli editori e dei nuovi librai indipendenti

È uno straordinario successo quello del romanzo Le nostre anime di notte, anche questa settimana in vetta alle classifiche: "È successo tutto nel momento giusto. Poi c'è stata anche una straordinaria “botta di culo”, scusa il francesismo. Tutta una serie di cose successe che sono andate magicamente a posto nel momento gusto", racconta Fabio Cremonesi che di questa impresa è artefice insieme alla casa editrice NN

di Francesco Aliberti

Fabio Cremonesi, traduttore, e la casa editrice NN, piccolo editore indipendente di Milano nato nel 2015, sono gli “inventori” dello straordinario successo in Italia del romanzo di Kent Haruf Le nostre anime di notte“, anche questa settimana in vetta alle classifiche, superando i big dell’editoria italiana e straniera. Tutto è cominciato con la “Trilogia della pianura”. Per loro, la crisi dell’editoria oggi non esiste e non sono già più piccoli.

Con “Le nostre anime di notte” siete ai primi posti in classifica. Avete lasciato tutti a bocca aperta. Chi sono i cavalieri che fecero l’impresa?
C’è stato un gioco di squadra veramente straordinario. Nel senso che è successo tutto nel momento giusto. Poi c’è stata anche una straordinaria “botta di culo”, scusa il francesismo. Tutta una serie di cose successe che sono andate magicamente a posto nel momento gusto.

Sbaglio o “Canto della pianura” era già uscito nel 2000 con Rizzoli?
Sì, ma sai come funzionano le cose nelle grandi case editrici. C’è un autore sconosciuto, che negli Stati Uniti funziona bene e allora ce lo compriamo e lo buttiamo fuori. Poi, come spesso succede, ognuno deve fare il suo mestiere. Alle case editrici grandi probabilmente conviene concentrarsi su autori che vanno direttamente sul grande pubblico, mentre per un autore come Haruf non è la stessa cosa. Accadde anche con Carver a suo tempo. Ha girato cinquanta case editrici e poi è arrivato Cassini che è riuscito a farne un successo.

E’ successa la stessa cosa anche fra Haruf e NN editore?
Sì, Rizzoli ha fatto una bella traduzione e lo ha buttato fuori, ma non se lo è filato nessuno. Per cui si tratta di un grande autore che per qualche strano caso è sfuggito all’attenzione degli scout e degli editor delle grandi case editrici e anche a quelli delle case editrici piccole o medie.

Insomma, sfugge a tutti e lo trovate voi…
Per qualunque motivo sfugge a tutti e lo troviamo noi. Ce ne innamoriamo, noi come nascente redazione di NN editore. Siamo nell’estate del 2014. “Benedizione” è stato il primo titolo della casa editrice. Si innesca un gioco di squadra che ha funzionato perfettamente, nel senso che l’autore buono c’era. La redazione ci fa sopra un lavoro buono, nel senso che tutto funziona. Ne viene fuori una bella copertina, grazie a un grafico di rango come Mario Piazza. Per essere una neonata casa editrice cura tutto sotto ogni aspetto. Dopo di che il libro finisce in promozione. Esce in libreria con un lancio, mi pare, di 800 copie. Con i tempi che corrono un buon lancio.

E quindi cosa succede?
Succede che in quel momento, un po’ per sensibilità della direzione di NN, Alberto Ibba, e un po’ perché è il momento giusto, tutta una serie di librai indipendenti sposa questo titolo, lo legge, gli piace, lo apprezza molto e comincia a consigliarlo. E nasce una sinergia.

Con le librerie in crisi?
La crisi ha già spazzato via un sacco di librai che non avevano capito che i tempi erano cambiati. Non a caso tutti i librai che hanno adottato il libro, gli early adopters di Haruf, non erano librerie di tradizione, ma erano librerie che esistevano da uno, due o da cinque anni al massimo.

Una nuova generazione più consapevole.
Giovani e soprattutto librai che stavano riscoprendo l’orgoglio di essere una libreria indipendente. Dopo gli anni in cui la libreria indipendente era diventata la categoria lagnosa, di quelle che ti piangono sulla spalla. Era diventata una categoria un po’ menagrama. E invece è arrivata questa nuova generazione di librai che stava riscoprendo un mestiere che, lungi da essere devastato da Amazon, stava acquisendo un senso nuovo. Sempre di più chi sa cosa comprare, sa quello che vuole, quindi se lo compra su Amazon. Quelli che entrano nelle librerie indipendenti sono quelli che non vanno alla Feltrinelli, che è il “supermercatone”, ma vanno nella libreria di quartiere, nella libreria piccola. Sono lettori in cerca di stimoli, quelli curiosi che ascoltano il libraio.

Cosa cambia tra il 2010 e il 2017 nell’orizzonte d’attesa dei lettori? Questo libro nel 2010, in mano sempre ad NN, avrebbe avuto lo stesso successo? C’è stata di mezzo la sofferenza della crisi e la depressione serpeggiante di cui parlavamo prima?
Banalmente arriva un momento in cui l’ironia e il cinismo sono carini al bar con gli amici, è l’atteggiamento fighetto che ti fa fare bella figura in società, però poi quando il tuo compagno si ammala e muore, con l’ironia non vai molto lontano. Quando ti trovi solo come un cane, con l’ironia non ci fai nulla. Fai bella figura in società, ma dentro non ti basta più. Un discorso un po’ naif, mi rendo conto. Però arriva il momento in cui si torna, per usare una terminologia un po’ aziendale, back to basics. Abbiamo il coraggio di chiamare l’amore amore, la morte morte, la famiglia famiglia e di parlare di queste cose senza nasconderci dietro l’ironia.

Si instaura un rapporto speciale fra traduttore e autore. Hai tradotto quattro libri di Haruf nel giro di due anni. Come lo hai vissuto?
In generale, ovviamente si crea un rapporto stretto, passi un sacco di tempo con l’autore. Nello specifico, vuol dire che Haruf è la singola persona con cui ho passato più tempo negli ultimi due anni. La città di Holt è il posto dove ho passato più tempo. Haruf è un autore con cui si crea un’empatia, un’intimità molto forte. E passarci così tanto tempo significa proprio creare un legame affettivo come con un nonno.

Prego?
Cioè, quando io penso ad Haruf penso a un nonno. Ho un nonno che non ho mai conosciuto, perché morto pochi mesi prima che nascessi io. E’ un nonno, cioè uno a cui vuoi molto bene, a priori e a prescindere, che ogni tanto ti fa anche un po’ sbuffare. Perché quando arrivi all’ennesima scena con le mucche che pascolano, dici “basta, che due maroni”, però è sempre uno sbuffare affettuoso. Questa è la mia relazione con Haruf.

Per chi ancora non è stato a Holt perché dovrebbe leggere dalla trilogia all’ultimo titolo? Uno che non c’è ancora stato perché dovrebbe venire a Holt?
Un po’ perché Haruf è un luogo privo di ironia, è un luogo dove andare a cercare delle risposte senza nascondersi dietro l’ironia e il cinismo. Un luogo di sentimenti veri, risposte vere e non consolatorie. E’ un autore che parla della vita, della morte, della famiglia. Il simpatico Haruf non è affatto consolatorio, ma è un autore con una grande luce nello sguardo, con uno sguardo pieno di grazia, ma non è autore che fa sconti ai suoi personaggio quando fanno delle porcherie, anzi. E’ un autore a cui manca l’inferno sullo sfondo, non è un autore che ti dice “se sei cattivo andrai all’inferno”. E’ un autore che sembra dirti “sei in purgatorio in questo preciso momento”. Stai pagando il prezzo delle tue cazzate. Se ne hai fatte. E spesso anche se non ne hai fatte. Ti dice siamo tutti in purgatorio, qualcuno se lo merita di più, qualcuno di meno. Eppure c’è sempre una grande luce nel suo sguardo.

Quale messaggio arriva alla fine al lettore?
In questo ultimo “Le nostre anime di notte”, che se vogliamo è il più accessibile di Haruf, sembra dirti che nella vita in nessun momento è troppo tardi per darti un’altra chance, e lo fa utilizzando una storia d’amore tra due anziani vedovi. Quello che alla fine ti sta dicendo è “datevi un’altra chance”. Non è mai troppo tardi nella vita per darsi un’altra possibilità. Senza per questo prometterti che andrà tutto bene. E in questo libro non va tutto bene, ma tuttavia vale la pena di provarci.

Quale libro hai amato di più di Haruf?
Benedizione”, perché è un romanzo perfetto. C’è tutto quello che deve esserci. Niente di più e niente di meno. Nel senso di compiuto, concluso. E’ un romanzo molto aperto e questo vale per tutti i suoi libri. Lascia spazio al lettore.

In che senso?
Haruf non è uno scrittore che ti dice tutto lui. Tutto quello che devi pensare, tutto quello che devi provare. Haruf non ti dice mai cosa pensano i personaggi. Li guarda, li descrive come si muovono nel tempo e nello spazio e registra le loro parole, i loro sguardi. Il gioco di sguardi è molto importante in Haruf. Non ti dice mai cosa stanno pensando. E questa è una cosa molto seducente.

Sono in arrivo altre puntate da Holt in libreria?
Ci sono due titoli in back list che usciranno ben avanti nel 2018, perché dopo aver fatto quattro titoli in due anni ho detto forte e chiaro all’editrice Eugenia Dubini che voglio prendermi un anno di vacanza dalla traduzione di Haruf. Lo adoro, mi ha dato soddisfazioni impensabili per un traduttore, però un anno di vacanza da Holt me la devo prendere.

Foto di Stefano Saporito

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