di Pia Starace

Sono una ricercatrice universitaria da molto (forse troppo) tempo. Ho attraversato la trafila ortodossa della formazione universitaria: corso di studi a pieni voti, un anno di lavoro per una tesi di laurea sperimentale, assegnazione di una borsa di studio Cnr, prova di dottorato, corso di perfezionamento, studi superiori presso un centro di eccellenza, concorso da ricercatore, conferma in ruolo, attribuzione di insegnamenti, conseguimento dell’abilitazione scientifica, relazioni, seminari, convegni, progetti di ricerca, monografie, articoli, carico didattico, responsabilità in organi dipartimentali, e persino l’amarezza di una bocciatura ad un concorso per una chiamata interna con relativa presentazione di un ricorso.

Ecco, grossomodo, un esempio di percorso di chi può aspirare a chiamarsi legittimamente professore universitario, peraltro con l’umiltà e il persistente senso di non essere mai fino in fondo all’altezza del difficile e delicatissimo compito, consapevole della rilevanza sociale che riveste. Invece succede che Matteo Renzi si alzi un giorno, prepara i bagagli per la California, Silicon Valley – giusto una vacanzina di 10 giorni mentre nel Pd volano i coltelli -, annuncia che va ad abbeverarsi di avanguardia tecnologica e commerciale, prende contatti con la Stanford University che – guarda un po’ – ha una sede anche a Firenze e, arzillo e rifocillato, torna in Italia.

Sicché, dopo un saltino di circostanza all’Ilva e una partita a calcetto, compare in tv, nel salotto di Vespa, ad annunciarci, con la consueta nonchalance, che ora è disoccupato e che quindi, oltre a scrivere un libro, si dedicherà a fare il professore universitario. La cosa fa rabbrividire, se non inorridire. Un uomo delle istituzioni non può svilire in questo modo una professione di così elevato profilo, frutto di studio, di ricerca, di selezioni progressive, un titolo che normalmente (al netto di storture accademiche e amministrative) si conquista con scrupolo e dedizione, attraverso verifiche, comparazioni, concorsi ed ostacoli quotidiani. Etica, professionalità, serietà, esperienza sul campo. Dove sarebbero?

E non conta obiettare che si tratta di una Università privata ad assumerlo, perché la docenza universitaria non si improvvisa mai. Pertanto, faccia la cortesia il caro Renzi: impieghi con estrema cautela, ponderazione e col dovuto ossequio, il termine professore universitario, il quale non spetta soltanto perché viene richiesto di salire in cattedra per qualche ora di lezione (peraltro in quale disciplina non si sa). Lo faccia per rispetto delle istituzioni, di cui è al servizio.

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