di Paola Biondi *

Dopo Trento ecco Firenze. Aspettiamo da un momento all’altro la terza. Sto parlando delle sentenze che, in questi mesi, stanno ridando fiato e speranza alle coppie di omosessuali con figli. La prima, della Corte di Appello di Trento, ha riconosciuto la genitorialità anche al padre non biologico, trascrivendo in Italia l’atto di nascita straniero in cui risultano genitori entrambi. La seconda, del Tribunale per i minori di Firenze, riconosce ora l’adozione piena (e non la stepchild adoption) ad entrambi i papà.

In tutti e due i casi viene riconosciuto il legame giuridico – perché quello affettivo è già presente e non ha bisogno di riconoscimenti esterni – e il diritto alla filiazione di bambini nati all’interno di un progetto di coppia omosessuale. Per cominciare questi bambini vengono “visti” e viene loro riconosciuto il diritto di avere due genitori anche in Italia. Perché all’estero per fortuna ce li hanno già. Da noi ne perdono uno, quello sociale, non biologico, nel momento in cui oltrepassano i nostri confini, diventando – di fatto – figli di unico genitore.

La cosa diventa sicuramente più interessante se guardata dal punto di vista psicologico. Come accennavo prima, tramite il diritto che equipara la sua situazione a quella di tanti altri bambini adottati da coppie eterosessuali, questa bambina viene finalmente vista. E noi psicologi e psicologhe sappiamo bene il peso che l’essere visti o non visti può avere nello sviluppo della personalità. La bambina in questione (si spera la prima di una lunga serie) avrà due papà veri, al 100%, e anche dei nonni, zii, cugini. Una famiglia vera, insomma, a tutti gli effetti. Anche di legge. E avere una famiglia che possa sostenerti e supportarti, una rete di affetti su cui poter contare nel caso succeda qualcosa, è certamente una base sicura, non irrilevante.

Entrambe le sentenze di cui stiamo parlando evidenziano due cose fondamentali: innanzitutto che la genitorialità non è solo biologica; in secondo luogo, che la responsabilità genitoriale ha una grande importanza, ed è indipendente dalla metodologia che ha permesso la nascita di questi bambini e bambine.

Ma quanto incide la presenza di diritti e di trattamento egualitario sulla salute psicofisica e il benessere della persona? Senz’altro molto. L’ho accennato su questo stesso blog, rilevando come tale riconoscimento possa ridurre il consumo di farmaci contro l’ansia e la depressione, o il numero di richieste di intervento medico per problematiche di tipo psicologico. E non solo per chi se ne avvale, ma anche per chi potenzialmente potrebbe usufruirne ma sceglie di non farlo. Per esempio i single.

D’altronde, non credo che qualcuno abbia mai pensato di indagare in che modo la possibilità di sposarsi, di adottare o di avere i vantaggi di una minoranza possa influire sul benessere psicologico di bambini e bambine. Si dà per scontato, perché è una cosa ovvia, palese, che si avverte a pelle e la cui cognizione viene passata quasi col biberon. Non c’è modello sociale – tv, radio, giornali, ogni contesto – che ignori questa ovvietà.

Gli studi sulle minoranze sessuali invece ci aiutano a capire la portata di cambiamenti sociali e culturali – oltre che giuridici – così rilevanti da determinare la ristrutturazione del linguaggio comune, della lingua italiana, di modi e costumi, di favole e storie ed esempi da portare.

Se è assodato che concedere diritti a qualcuno che prima non li aveva ha un influsso positivo su tutta la popolazione, viene da chiedersi il perché di tutte queste resistenze nei confronti del matrimonio egualitario o del diritto di adozione per coppie di fatto, same-sex o meno. Da tali opportunità trarrebbero vantaggio anche i giovani visto che, laddove sono ammesse, si registra un significativo calo del numero di tentati suicidi (7%).

Basterebbe garantire questi diritti a gay e lesbiche per risolvere i problemi, assicurando altresì un sano ed equilibrato sviluppo dei loro figli? Certamente no. Ma sarebbe un notevole contributo per mettere in primo piano – finalmente – il diritto dei bambini: garantendo loro serenità e continuità affettiva, un contesto socio-culturale adeguato all’evoluzione di costumi e modi di essere famiglia, un mondo senza cittadini o cittadine e di serie A e di serie B. E per offrire, a tutti, la possibilità di essere genitori e genitrici responsabili. Anche in assenza di un vincolo giuridico che riconosca la coppia, esattamente come nel caso delle altre coppie di fatto non coniugate.

* Psicologa e Psicoterapeuta

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