L’indagato può restare al suo posto, il testimone che lo accusa davanti ai magistrati, invece, deve andare via. È questo, in estrema sintesi, il dibattito surreale che ha animato il Parlamento in relazione ai vari protagonisti dell’inchiesta Consip, almeno fino a questo momento. L’indagine delle procure di Roma e Napoli sulla centrale acquisti della pubblica amministrazione è ormai diventata argomento di rovente dibattito anche tra i corridoi di palazzo Madama e Montecitorio.  Non potrebbe essere diversamente visto che coinvolge – tra gli altri – il ministro Luca Lotti e Tiziano Renzi, il padre dell’ex premier, attuale azionista di maggioranza del governo di Paolo Gentiloni. Indagati rispettivamente per rivelazione di segreto e concorso in traffico d’influenze, sono stati tirati in ballo Luigi Marroni, il numero uno di Consip difeso a spada tratta fino ad oggi dal ministro Pier Carlo Padoan, che nei prossimi giorni da teste chiave dell’accusa sarà interrogato dagli avvocati di Renzi senior.

Il teste vada via, l’indagato resti – Stando così le cose, dunque, deputati e senatori dovrebbero interrogarsi sull’opportunità delle dimissioni da ministro di Luca Lotti, unico componente dell’esecutivo indagato nell’inchiesta. E invece tra palazzo Madama e Montecitorio, parlamentari di ogni schieramento chiedono da giorni di cacciare Marroni. Una richiesta surreale, visto che Marroni non è solo il teste chiave dell’inchiesta che imbarazza il Giglio magico, ma è anche l’accusatore principale dello stesso Lotti e di Renzi senior. “Tiziano Renzi mi chiese di fare il possibile per assecondare le richieste di Russo (Carlo, imprenditore vicino al padre dell’ex premier ndr) e di dargli una mano perché era un suo amico”, è una delle tante dichiarazioni messe a verbale da Marroni, che ai pm ha anche raccontato di avere saputo “da Luca Lotti” del’esistenza “di un’indagine che riguardava anche l’imprenditore Romeo“.

Il nodo: Marroni come teste della difesa – La questione delle dimissioni del numero uno di Consip, però, al momento non è soltanto un controsenso giuridico ma acquisirà nei prossimi giorni una valenza squisitamente politica. Il teste principale dei pm che indagano su Lotti, infatti,  sarà presto interrogato anche dai legali di Tiziano Renzi, accusato di concorso in traffico di influenze. La chiamata di Marroni come teste della difesa – figura prevista dallo strumento delle indagini difensive – è in pratica un passaggio fondamentale di una delicatissima partita a scacchi che si gioca tra il Parlamento e i palazzi di giustizia. Come ha raccontato Marco Lillo sul Fatto Quotidiano, infatti, davanti alla difesa di Renzi senior, il manager dovrà decidere se confermare quanto detto ai pm o se invece provare smussare le sue parole a beneficio del ministro Lotti e del padre dell’ex premier, facendo quindi crollare l’inchiesta delle procure capitoline e partenopee. Un’ipotesi da tenere in considerazione soprattutto alla luce del fatto che fino a questo momento l’ad è rimasto al suo posto perché così ha deciso il ministro Pier Carlo Padoan, nominato dalla stessa persona che di fatto ha voluto lui, e cioè Matteo Renzi.

La difesa di Padoan: “L’ad può restare” – E in attesa di capire cosa risponderà Marroni agli avvocati di Renzi senior è lo stesso ministro del Tesoro che rinnova la sua fiducia al manager davanti al Parlamento. “L’ad di Consip non si trova in una condizione per la quale lo statuto della società contempli la decadenza“, ha detto Padoan, durante il question time alla Camera, rispondendo alle interrogazioni di Sel ed Forza Italia. “Quanto alla nomina dell’amministratore di Consip – ha spiegato il ministro – è stato individuato nell’esercizio delle prerogative dell’organo di indirizzo politico l’ingegner Marroni quale profilo idoneo per ricoprire l’incarico previa verifica dei requisiti di elegibilità, professionalità, onorabilità ed autonomia che è avvenuta da parte del Dipartimento del Tesoro sulla base della significativa esperienza testata dal profilo professionale”.

Brunetta, Quagliariello e gli altri: “Via Marroni” – Una risposta che non ha soddisfatto Renato Brunetta. “Siamo alla follia -ha sbottato il capogruppo forzista – Di fronte a una lampante violazione di legge, di statuto e di correttezza politica istituzionale lei mi risponde così, in maniera apodittica“. “La risposta del ministro Padoan alla nostra interrogazione sulle nomine alla Consip è grave”, ha invece detto Stefano Fassina, annunciando la presentazione di “un esposto all’Anac per violazione della normativa sulla selezione dei vertiti delle società pubbliche”. La spiegazione di Padoan, però, sembra fatta apposta per neutralizzare ad un’altra istanza, quella sollevata appena ieri al Senato da Gaetano Quagliariello e Andrea Augello. “La condotta del dottor Marroni orgogliosamente rivendicata nelle sue esternazioni sulla stampa, viola il punto 3.2 lettera c del Codice etico della Consip, che raccomanda ai destinatari di operare nei rapporti con i terzi con imparzialità, trasparenza e correttezza, evitando di instaurare relazioni che siano frutto di sollecitazioni esterne o che possano generare un conflitto di interesse”, si legge nella mozione firmata dall’ex ministro che chiede in pratica la defenestrazione del numero uno di Consip.

La doppia morale: “Via Marroni, ma non Lotti”  – Di segno opposto, invece, il parere di Quagliariello sulla mozione di sfiducia promossa contro Lotti, che arriverà al Senato il 15 marzo prossimo, dopo essere invece stata ritirata alla Camera. “Personalmente non vedo elementi per chiedere le dimissioni del ministro. Dimissioni che ritengo al momento premature”, ha detto l’ex saggio di Giorgio Napolitano, mentre un altro esponente dell’opposizione – e cioè il deputato di Forza Italia Niccolò Ghedini, storico avvocato di Silvio Berlusconi – ha bollato come “del tutto sbagliata” la richiesta di “dimissioni di un ministro sulla base di uno stillicidio non verificabile”. Non voteranno la mozione di sfiducia contro l’ex sottosegretario renziano neanche i parlamentari di Democratici e progressisti, e cioè gli scissionisti appena usciti dal Pd. “Se ne deve andare Marroni o Lotti? La risposta su questo la deve dare il presidente del Consiglio”, ha detto il governatore della Toscana, Enrico Rossi in versione ponzio pilatesca.

La previsione di Delrio: “Se il manager mente se ne deve andare” – Sul “ballottaggio” Lotti-Marroni – manco fossero Barabba e Gesù, ha le idee più chiare uno storico renziano della prima ora come Graziano Delrio.“La magistratura dovrà accertare la verità. Se l’accusa dell’amministratore delegato di Consip Marroni a Lotti verrà smentita dalla magistratura deve assolutamente dimettersi”, dice il ministro dei Trasporti, che in pratica sembra prevedere quasi un cambio di direzione nell’indagine degli inquirenti. I quali, per la verità, fino ad oggi sembrano convinti della genuinità delle parole di Marroni, che infatti non solo non è indagato – almeno fino a questo momento ha deposto solo come persona informata sui fatti –  ma non è stato neanche denunciato da Lotti. “I reati ipotizzabili in danno dell’onorevole Lotti sono tutti procedibili d’ufficio e non richiedono pertanto querela, faccio presente che l’onorevole Lotti si è già difeso respingendo come false le propalazioni sulla sua persona”, ha detto l’avvocato Franco Coppi,  provando a motivare la mancata denuncia del ministro nei confronti di Marroni. In realtà, però, Lotti avrebbe comunque potuto denunciare Marroni per calunnia autonomamente. Se non l’ha fatto è perché evidentemente spera che dall’interrogatorio del numero uno di Consip davanti ai legali di Renzi senior emerga una qualche novità che magari ridimensioni le accuse ai suoi danni.

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