Una cosa che insegno ai miei studenti e alle mie studentesse, in occasione dell’otto marzo, è l’improprietà (tutta linguistica) di appellare questa data come “festa della donna”. Tendenza mercificante che riduce la celebrazione a prodotto di consumo e apre ad alcune riflessioni. La prima: nel contesto odierno, in cui violenze e discriminazioni sono prassi quotidiana, c’è poco da “festeggiare” e molto da riflettere. E questo vale per tutti e tutte. La seconda: ridurre una giornata di commemorazione all’equivalente di un’ora d’aria, per cui “si concede” una sera l’anno di uscire con le amiche, è l’esatto contrario di quelle lotte che il movimento femminista ha portato avanti per anni.

A proposito, poi, del concetto di “mercificazione”: questa parola è tornata prepotentemente alla ribalta in certi circoli veterofemministi, soprattutto quando si parla di omogenitorialità e nello specifico di padri gay. Secondo la vulgata delle “femministe della differenza”, infatti, i maschi gay dovrebbero essere diffidati – chissà, magari proibendolo per legge su scala globale? – dall’avere figli, secondo la tecnica della gestazione per altri, volgarmente bollata come “utero in affitto”. Tutti appiattiti, insomma, come soggetti che esercitano una nuova “tratta delle schiave”.

Per tale occasione, alla Casa dei diritti di Milano il 14 marzo prossimo si terrà un incontro su questo tema. Faccio mie le parole di una giovane attivista, Federica Zicchiero, che così commenta la cosa sul suo profilo Facebook: «Eviterò di ripetermi sulle femministe talebane che pretendono di decidere al posto di altre donne. Evito e punto il focus su altro: trovo vergognoso – oltre che incoerente – che un evento contro la Gpa venga ospitato dalla Casa Dei Diritti del Comune di Milano». E qui si centra il punto della questione.

Come ho già scritto altrove, piaccia o meno a certe femministe, esistono donne che mettono la propria capacità procreativa al servizio di coppie, gay o etero, o di altre donne sterili per far nascere bambini/e. Laddove la maternità surrogata è regolata per legge e dove c’è la tutela delle gestanti – una norma, ad esempio, è che esse non debbano essere in stato di difficoltà economica – queste donne esercitano nient’altro che la propria libertà: “il corpo è mio e lo gestisco io”, recita uno storico slogan. Qualcuno, tuttavia, sta tentando di farlo diventare obsoleto.

Perché questa “resistenza” non tanto alla mercificazione della donna, quanto dei diritti dei figli delle coppie omogenitoriali? Altrove altri abusi, a ben vedere, sono meglio tollerati, a cominciare dallo sfruttamento nel lavoro. Perché, per questi casi, certe compagne non sentono la necessità di creare associazioni ad hoc? Provo a dare una risposta: certo femminismo nasce in reazione al maschilismo, di cui si configura come negazione. Ma se arrivano donne libere e gay autodeterminati che interrompono la “guerra dei sessi” per sostituirla a una reciproca solidarietà, si manda in pensione sia l’edificio patriarcale sia la sua reazione. Per chi ha bisogno di sopravvivere su una situazione di eterno conflitto, forse tutto questo è inaccettabile.

Scrivo tutto questo, perché oggi migliaia di gay maschi saranno in piazza a fianco delle loro compagne (anche di lotta), amiche, madri, sorelle, colleghe per un mondo più giusto. Alcuni di questi anche per le loro figlie, magari avute da altre relazioni, adozione o tramite Gpa. Magari da donne che hanno scelto di permettere questa scelta. Contro questi gay e la loro prole e contro queste donne si sono schierate le femministe di cui sopra anche con il supporto di altri maschi omosessuali, forse in cerca di una ribalta o forse dal complesso edipico irrisolto. Mi chiedo come faranno queste signore e i loro supporter a scendere in piazza oggi, senza vivere il peso della contraddizione.

Faccio anche un parallelo col pride, in cui si manifesta contro lo stesso sistema eteronormativo che ci vuole invisibili e in stato di sudditanza: come avranno il coraggio di marciare certi omosessuali che sono contro i padri gay e le loro famiglie, senza vivere un profondo senso di angoscia nell’essere strumento di quel potere che dicono di combattere e che di fatto avallano? Detto questo buona Giornata internazionale della donna. Soprattutto a chi merita pienamente di essere a fianco di tutte quegli uomini e donne libere davvero.

Articolo Precedente

8 marzo, donne in piazza a Milano: “Perché uno sciopero? È l’unico modo per avere visibilità e non essere ignorate”

next
Articolo Successivo

8 marzo, un elenco di 100 scienziate da intervistare: “Le donne non sono quasi mai chiamate a parlare come esperte”

next