Essere del proprio tempo e dipingere ciò che si vede, senza lasciarsi turbare dalla moda“: eccolo, il motto di Édouard Manet. Un motto semplice, perfetto per uno capace di fermare “vivacemente le sue figure e di non arretrare di fronte alla rudezza della natura”. Affascinante borghese dai modi gentili, “esteta che può rivelarsi un pericoloso polemista”, Manet te lo immagini mentre cammina per le strade di Parigi, flâneur dal passo vezzoso, osservatore determinato a tenere insieme la realtà e la sua rappresentazione.

L’8 marzo a Milano s’inaugura una mostra dedicata al grande pittore francese e, insieme, a quel contesto parigino che ne animò creatività e vocazione. “Il talento del Signor Manet è fatto di semplicità e di esattezza. Senza dubbio, davanti alla natura incredibile di alcuni dei suoi colleghi si sarà deciso ad interrogare la realtà, solo con sé stesso: avrà rifiutato tutta la perizia acquisita, tutta l’antica esperienza, avrà voluto prendere l’arte dall’inizio, cioè dall’osservazione esatta degli oggetti. Si è dunque messo coraggiosamente di fronte a un soggetto, ha visto questo soggetto per larghe macchie, per opposizioni vigorose, e ha dipinto ogni cosa così come la vedeva. Quello di Manet è un temperamento secco, che penetra in profondità”. A scrivere è Émile Zola, che di Édouard fu amico perso e ritrovato e grande estimatore, pronto a difenderlo quando i sostenitori della pittura tradizionale ne rifiutarono l’opera. Celebre il ritratto che Manet fece allo scrittore: ringraziamento sublime, “duplicato morale e fisico della persona” che sarà possibile ammirare nelle sale di Palazzo Reale.

S’intitola Manet e la Parigi moderna la mostra milanese: oltre un centinaio di opere tra dipinti, disegni, schizzi, acquerelli e sculture. Una galleria di capolavori provenienti dall’eccezionale collezione del Musée d’Orsay, selezionati dal suo storico presidente Guy Cogeval, curatore dell’esposizione. Un percorso che incontra anche dipinti di Cézanne, Degas, Gauguin, Monet e Renoir, avanguardisti e animatori insieme a Édouard di una Parigi bohémienne tanto lontana nel tempo quanto vivida nell’immaginario di chiunque, considerata la popolarità delle opere che da quel contesto hanno preso vita. Un giorno da passare a rimirare capolavori come Berthe Morisot con un mazzo di violette, Il suonatore di flauto, Il balcone o Il ritratto di Émile Zola. 

Fino al 2 luglio le sale di Palazzo Reale avranno le luci, le suggestioni, la meraviglia creativa che fu di quel Café Guerbois, al numero 11 della grande Rue des Batignolles. Un quartier generale, un luogo dove Manet, Degas, Monet, Cezanne e altri maestri del tempo s’incontravano ogni giovedì, la “nuit par excellence“: “Tornavamo da quelle serate con maggiore convinzione, con idee più chiare e definite”, scriveva Pissarro. C’è da scommettere che la mostra di Palazzo Reale possa fare un simile effetto, a visitarla con attenzione e con il giusto passo da flâneur.

 

 

 

Articolo Precedente

Il Cerchio, a che prezzo condividiamo i dettagli della nostra vita su internet? Il film con Emma Watson risponde, e inquieta

next
Articolo Successivo

Il Nullafacente, i veri infelici siamo noi consumisti

next