Nel corso dei tanti sgomberi a cui ho assistito, non sono riuscito mai a distogliere lo sguardo dall’espressione assunta dai bambini quando vedono la ruspa comunale distruggere le loro povere abitazioni. E’ una di quelle immagini dal carattere indelebile a cui sempre si lega la domanda: “Una baracca viene distrutta, le finestre implodono, l’intimità familiare dissacrata. Tutto finisce in pochi minuti. Ma nel tempo quale traccia resta nella mente e nel cuore di un bambino?”.

Un anno e mezzo fa questa stessa domanda se la sono posta genitori e insegnanti di una scuola della periferia romana che, davanti allo sgombero delle abitazioni dei loro alunni scrissero: “Quali saranno i sentimenti di quei bambini? Quanto rancore proveranno verso le istituzioni che li hanno allontanati dalla loro scuola, dalle loro maestre, dai loro compagni di scuola?”. Oggi l’interrogativo è sollevato dagli insegnanti di una scuola di Genova di fronte allo sgombero imminente che disperderà i bambini che oggi siedono sui banchi delle loro classi: “Quali saranno i pensieri dei “nostri” bambini? Che cosa proveranno nei confronti delle istituzioni che li hanno sgomberati ossia allontanati dalle loro maestre/i, professori/professoresse, dai loro compagni, dalla loro scuola? Come si sentiranno nella nuova condizione di “senzatetto”?”.

Nella capoluogo ligure si torna al voto nelle prossime amministrative e, come sempre accade, la questione rom diventa centrale nel dibattito elettorale. Entro fine mandato la Giunta Doria prevede lo sgombero dell’insediamento di via Muratori, dove da anni vivono, in una ventina di roulotte, 80 rom di nazionalità rumena.

Nell’indifferenza generale, è stata l’istituzione scuola a prendere posizione davanti a un atto che potrebbe mettere sulla strada le famiglie, compromettendo l’importante lavoro scolastico sin qui svolto. Dopo lo sgombero molti bambini vedranno violato il loro diritto allo studio e per questo le insegnanti hanno manifestato il loro disappunto: “Da tempo le scuole di Cornigliano accolgono bambini del campo rom sito dietro Villa Bombrini e tante insegnanti si sono recate negli anni in quel luogo spesso dimenticato. Una ventina di roulotte dismesse, abiti stesi ad asciugare, lamiere e tanti esseri umani. Uomini, donne, anziani ma soprattutto tanti bambini e bambine della scuola che ci hanno preso la mano e ci hanno letteralmente trascinato nella “loro casa” per farci stare al caldo, per raccontarci qualcosa. In quell’occasione abbiamo appreso che presto quel campo sarebbe stato sgomberato. Sgomberato perché abusivo, perché scomodo, malvisto, additato, sporco, perché rom”.

Non è la prima volta che il diritto allo studio viene difeso da un manipolo di coraggiosi insegnanti che, mettendoci la faccia, prende posizione. Nel maggio 2015, di fronte allo sgombero del “campo” di via Mirri, a Roma, alcune insegnanti, insieme a genitori di altri alunni, scrissero al Prefetto della Capitale: “La scuola non è un posto qualunque. È il luogo principale dove attivare politiche di integrazione. E se quei bambini, accettando di frequentare la scuola, hanno mostrato con le loro famiglie di voler rispettare le regole dello Stato, quello stesso Stato che, allontanandoli con la forza da quel campo, senza un’alternativa almeno per fargli continuare a frequentare la stessa scuola, gli ha precluso la possibilità di mantenere un rapporto di fiducia. Per qualcuno di quei bambini, continuare a frequentare quella scuola potrebbe significare avere un futuro diverso“.

Sei anni prima a Milano, davanti all’ennesimo sgombero della Giunta Moratti, maestre e genitori di via Rubattino decisero, come forma di resistenza attiva, di adottare quei bambini e quelle famiglie in un percorso che ancora oggi prosegue. Nella stessa stagione una preside romana si pose davanti alle ruspe che nel quartiere Casilino abbattevano le baracche di famiglie poverissime. “Sono qui – gridò la preside – perché è mio dovere capire dove andranno a finire questi bambini per adempiere all’obbligo scolastico”. E con un atto estremo andò a riprendersi, uno a uno, i bambini allontanati dalla furia distruttiva della ruspa.

Non sappiamo quali cicatrici restano nell’animo di un bambino dopo uno sgombero. Abbiamo però la certezza di quale responsabilità siamo chiamati ad assumere. Fortunatamente la scuola italiana, oggi, da Milano a Roma, passando per Cornigliano, ce lo insegna: una ruspa può abbattere delle povere case ma non la nostra Costituzione che all’art. 34 parla di una scuola aperta a tutti, nessuno escluso.

Articolo Precedente

Festa della donna, la campagna per ricostruire l’ospedale in Siria: “Meglio regalare una mimosa o il diritto alle cure?”

next
Articolo Successivo

Fine vita, vivere o morire? L’importante è poter scegliere

next