Quando penso alle dichiarazioni anti-euro di coloro che si definiscono “sovranisti” francamente mi prende paura. Non mi convincono. Percepisco una profonda certezza nella mia posizione pro-euro.

Chissà: forse è questione di sensibilità: in particolare nel merito di ciò che ho chiamato “intorno” (inteso come sostantivo e non come avverbio – area, dominio, recinto…). Quello dell’intorno è un concetto non tanto difficile quanto sfuggente: è un concetto che non appartiene a coloro che vivono di teorie, specie se mutuate dai sacri testi che non vengono mai sottoposti a concludenti critiche.

Per me è un concetto molto semplice: forse è proprio la mentalità ingegneristica che mi sostiene in questa direzione. Ha un’origine pragmatica, ma una validità assoluta. Ma cerchiamo di andare con ordine. Dicono i detrattori dell’euro: se fossimo un vero Stato sovrano, con tanto di moneta propria, avremmo stampato carta e la cosa non sarebbe costata nulla: ma siccome siamo incardinati nel sistema euro, dobbiamo pagare interessi. E sono questi che ci uccidono.

Giusto, ma questa osservazione non c’entra nulla, per esempio, col fatto per il quale lo Stato italiano ha avuto bisogno di mettere all’asta altra carta (per miliardi di euro) per procurarsi risorse con le quali pagare impegni pregressi e venuti a scadenza: e ha dovuto fare nuove aste alle quali rispondono diversi offerenti italiani e stranieri. La politica di Mario Draghi prevede, ancora per circa un anno, la possibilità di “acquistare” – come Bce – quei titoli dando euro di fresca stampa in cambio: pura operazione di espansione inflattiva dalla quale l’euro non può che uscirne indebolito se il “sistema-Ue” non produce adeguata espansione reale.

In altri termini, checché si dica, il nostro Stato ha aumentato il proprio debito, poi, magari, la mattina successiva impiegare quei nuovi miliardi di euro per pagare rate e interessi di precendenti prestiti venuti a scadenza: miracolo della finanza revolving. Ma intanto lo Stato italiano ha avuto bisogno di una somma di denaro e l’ha dovuta chiedere. Se non l’avesse ottenuta sarebbe diventato in qualche modo insolvente (come, peraltro, lo è da tempo verso creditori interni).

Qui non stiamo discutendo del costo di quell’operazione: stiamo parlando del fatto per il quale lo Stato italiano ha avuto necessità di fare quell’operazione. Ora, se andiamo a vedere la storia del nostro indebitamento, e se poniamo la nostra attenzione su ciò che avvenne “prima” del 2001, data alla quale entrò in funzione il tanto esecrato sistema-euro, notiamo che nel 2000 il “debito reale” (comprensivo dell’inflazione) già ammontava a 1.592.569,14 (espresso in milioni di euro): ma dobbiamo altresì notare che fino a quell’epoca l’Italia disponeva della propria sovranità monetaria, poteva stampare moneta, non doveva col cappello in mano andare alla Bce per farsi prestare valuta.

Ma allora, se è vero che quando lo Stato è sovrano e può stampare moneta – senza indebitarsi, come molti sostengono -, com’è accaduto che già sopportava un carico debitorio così gigantesco? Qui l’euro non c’entra davvero.

Attenzione, non giochiamo con le parole. Lo so benissimo che in quella somma ci stavano debiti contratti anche da enti diversi dallo Stato centrale: Regioni, Province, Comuni, etc., ma lo Stato dov’era, quando questi enti italiani non-statali si indebitavano?

Lo so, sono nato male e cresciuto anche peggio, ma il culmine devo averlo raggiunto quando mi sono laureato in ingegneria, non in economia. E qui ci sta una grossa differenza. Mi dispiace, dovete prendermi come sono. Sono capace di ragionare solo in considerazione dell’effetto “intorno”.

Nella storia dell’economia c’è un famoso “effetto”: l’effetto-Ponzi. Si verificò in America negli anni ‘20. Si verificò più di una volta (l’ultima edizione-macro fu quella di Madoff che sta scontando l’ergastolo nelle sue patrie galere). Da noi, in sedicesimo ma allo stesso modo fragoroso, si manifestò come effetto-Giuffré (fu chiamato “il banchiere di Dio“) nei primi anni ‘50. Il giochino è sempre lo stesso: un bel mattino c’è un individuo che si mette a raccogliere denaro promettendo interessi incredibili, la notizia si sparge (eh, vorrei vedere) e cominciano ad affluire somme sempre più consistenti.

Viene il momento per cui questo individuo deve pagare i promessi strabilianti interessi oppure qualcuno chiede indietro i suoi soldi. Che fa costui? Lui non ha investito un bel niente, ha fatto credere di essere un investitore straordinario, ma non è vero. Ha una sola soluzione: prendere i nuovi investimenti di depositanti un po’ (tanto) leggerini e usa quei nuovi denari per soddisfare le richieste. Il sistema “gira”, nessuno si accorge di niente.

Quando il giochino salta? Quando supera “l’intorno”. E qual è questo’”intorno”? Eh sì, occorre uno sforzo immaginativo, assolutamente non definibile ex-ante. L’intorno tollerabile è quello definito fra il flusso della domanda in entrata dei depositanti speranzosi e quello della uscita richiesta da coloro che rivogliono indietro interessi e anche somme: quando questi confronti di flussi diventano negativi, allora il giochino salta.

Domanda: tornando al nostro ipotetico Stato sovrano, che stampa carta a cui attribuisce un valore, non è che, per caso, anche qui venga a valere l’effetto nefasto di quell’“intorno” (non identificabile prima) per cui quelle famose auree regole non valgono più niente?

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