Veloce, va detto, è stato veloce. E questa è forse l’unica promessa che Matteo Renzi ha mantenuto. Ma certo il risultato è opposto da quello che garantiva: mai nessuno prima era riuscito a compiere un’ascesa così rapida e una discesa ancora più verticale. Proprio un anno fa su questo blog rivolgevo i complimenti a lui e al suo sodale Denis Verdini, sdoganato nel Partito Democratico, accettato non solo come stampella indispensabile al governo Renzi, ma anche e soprattutto come alleato paritario, rispettato anche da quanti erano stati strenui antiberlusconiani.

Questa comunione d’intenti, più felice d’un matrimonio ben riuscito, emerse chiaramente nel marzo 2016 a seguito della condanna in primo grado per concorso in corruzione a carico del leader di Ala. Poi prescritta. Nessuno fiatò. Non un respiro per prendere le distanze da Verdini. Anzi. Erano i mesi in cui il gigante dal ciuffo bianco scriveva la nuova Costituzione insieme all’altra costituzionalista, Maria Elena Boschi. Con ogni probabilità, conoscendoli entrambi, era Denis la mente. Come disse lui con una battuta: “Maria Elena? È più forme che riforme”.

Erano i mesi del renzismo imperante. Mai prima di allora un politico aveva avuto un sostegno così trasversaleIl Fatto già all’epoca raccontava le magagne dell’ex premier, dei suoi compari, dei padri e dei compari dei padri (come dimenticare le visite di Pier Luigi Boschi da Flavio Carboni? O quel mutuo firmato da Marco Lotti a favore della società di Tiziano Renzi e poi pagato dalle casse dello Stato?). Lo raccontavamo nel silenzio quasi totale degli altri giornali, intenti a riportare retroscena sugli straordinari successi dell’esecutivo. Ma la storia sceglie sempre da sola a chi dar ragione. E questa volta l’ha fatto, anche lei, con una rapidità impressionante. Gli eventi di queste settimane parlano chiaro.

Certo: ci sono tre gradi di giudizio. Certo tutti sono innocenti fino a prova contraria e sono convinto sin da ora che le posizioni di Tiziano Renzi, Luca Lotti e altri, nel corso delle indagini saranno ridimensionate. Magari riusciranno a dimostrare di essere estranei a ogni accusa e potranno querelare per calunnia chi li ha coinvolti: Marco Marroni, Carlo Russo, Filippo Vannoni. È possibile che non entrino neanche nel processo, che saranno archiviati subito con tante scuse. L’amico Denis invece non ha speranze.

Come un anno fa, Verdini è stato raggiunto da una nuova condanna. Pesantissima, questa volta: 7 anni per la bancarotta, 2 per truffa ai danni dello Stato oltre all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Nei prossimi mesi arriverà pure la sentenza del processo sulla P3, per il quale è stata chiesta una condanna di 4 anni; poi ci sono altri 4 procedimenti a carico di Verdini. Insomma è facile prevedere che la stagione politica del leader di Ala si sia conclusa. E Matteo farà bene a seguirlo, a ritirarsi dalle primarie del Pd usando la scusa dell’inchiesta che coinvolge il padre e buona parte dei suoi amici. Farebbe bene, Renzi junior, a sfilarsi spontaneamente sin da subito. Perché il sodale Verdini non è tipo da tirar le volate a gratis. Non nell’ascesa, ancor meno nella caduta.

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