Negli occhi di molti è rimasta impressa la scena iniziale, la festa e il trenino de La grande bellezza di Paolo Sorrentino, una Roma decandente, un mix di vecchia aristocrazia, borghesia emergente, politica e spettacolo, spesso vuota alla disperata ricerca di una identità. Ma la vacuità di questo pezzo di società, i giochi di potere, i soldi veri o ostentati che ne fanno inscindibilmente parte sono attrattivi, incuriosiscono, generano un appetito spesso pruriginoso che ha un appeal immediato. Qualora si voglia scindere il nostro immaginario dalla realtà ed entrare nella vita e nella psicologia di quel mondo, vale la pena leggere l’ultimo romanzo del pugliese, nato a Martina Franca, Marco Ferrante, Gin tonic a occhi chiusi edito per i tipi di Giunti.

Il nostro è un giornalista e lo è probabilmente sin nel midollo, scrive come un cronista, asciutto, essenziale, appuntito, ed ha uno spirito di osservazione fuori dal comune. I personaggi che descrive sono veri e vivi, li indaga nelle pieghe più intime, nei gusti personali, nelle relazioni amicali, nel portamento. Scava in ognuno di loro sezionandolo e ricostruendone la personalità, così conosciamo i Misiano: Elsa la capostipite “capace amministratrice di una rendita robusta”, suo marito Edoardo “avvocato, porschista e ideologo di barche”, i loro tre figli a partire da Gianni “fiscalista di grido”, Paolo, deputato “sentimentalmente ed emotivamente instabile”, Ranieri “brillante, belloccio, grazie ad un generoso lascito della zia paterna potrebbe non lavorare, ma lo fa”.

I Misiano sono i protagonisti della storia, potrebbero essere stati invitati sulla terrazza romana di Sorrentino, anzi sono lì, e le loro vite vengono sconvolte fondamentalmente dai loro desideri, spesso insulsi o irrazionali, che spesso cozzano con l’appartenenza ad un mondo che ha regole ben precise, nel quale il colore dei bicchieri da portata, la composizione della servitù sono sostanza e non forma. Sono il rifugio del quale non si può fare a meno, un appiglio dove aggrapparsi in un’epoca nella quale tutto sembra scivolarci dalle mani. E’ il senso della paura di perdere ciò che abbiamo, quello della precarietà, uno degli assi portanti del romanzo, insieme alla crudezza della sua verità, ecco Roma, per esempio, lì nuda come la vediamo davvero nelle vie del centro: “Turisti molto cheap, molti venditori di caldarroste, qualche zingaro, un paio di suonatori di violino, uno che finge di fare la statua… bicchieri di plastica, autorità pubblica assente”.

Nella vita di Paolo Misiano, il deputato, una collana di Bulgari svela i retroscena del funzionamento del Parlamento, delle sue logiche, di quella che chiamiamo “casta”, ma della quale probabilmente conosciamo poco. In questo senso la scrittura di Ferrante è rivelatrice, dissacrante, tanto da essere divertente, da non consigliare assolutamente agli amanti di Beautiful o Dinasty, qui c’è di più.

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