A Londra la Camera dei Lord ha approvato un emendamento alla legge che darà il via libera all’attivazione dell’articolo 50 del trattato di Lisbona per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea; il provvedimento dovrà poi tornare ai Comuni per essere approvato. L’emendamento prevede la concessione del diritto automatico di residenza ai cittadini Ue già domiciliati in Uk, perché, come ha detto in aula Lady Hayter, viceministro ombra laburista per la Brexit, “voglio dire al governo che non si mercanteggia sul futuro delle persone”.

Altri emendamenti verranno proposti nei prossimi giorni e anche questi potrebbero venire approvati. Tra gli altri, quello proposto da Lord Pannick, l’avvocato che ha rappresentato in tribunale Gina Miller nel recente caso contro il governo, in cui ha sostenuto con successo la necessità del voto del Parlamento prima dell’avvio della notifica per l’uscita dalla Ue secondo l’articolo 50.

In un articolo sul Times, David Pannick spiega oggi perché presenterà il suo emendamento che, se votato, imporrà di inserire nella legge l’obbligo di sottoporre all’approvazione del Parlamento anche i termini del ritiro del Regno Unito dalla Ue alla conclusione dei negoziati.

La Gran Bretagna lascerà l’Ue dopo due anni dall’invio della notifica. Potrebbe farlo prima se l’accordo venisse raggiunto prima, ma anche più tardi, se tutti gli Stati coinvolti fossero d’accordo sull’opportunità di dilatare i tempi dei negoziati. Potrebbe anche esserci un’ulteriore possibilità, quella di restare nell’Unione se, come alcuni sostengono, fosse possibile revocare la notifica in caso di accordi insoddisfacenti.

Lord Pannick non è tra coloro che lo ritengono possibile e neppure il governo lo è, secondo quanto dichiarato da entrambi in tribunale. Pannick è invece preoccupato perché il Primo Ministro Theresa May ha, sì, promesso di sottoporre al voto del Parlamento gli accordi che verranno conclusi con l’Ue sul ritiro del Regno Unito e sui suoi futuri rapporti con l’Unione, ma si è anche rifiutata di includere questo impegno nella legge.

“Una promessa fatta in buona fede dal Primo Ministro – scrive Pannick – non può sostituire un obbligo contenuto in una legge del Parlamento. Le circostanze politiche possono cambiare, anche il Primo Ministro può cambiare nel corso di due anni. Su un punto di tale importanza è fondamentale che vi sia l’obbligo chiaro e vincolante in capo al governo di tornare ancora in Parlamento in un momento ben definito”.

– Il governo sostiene che la legge è breve e semplicissima e non va appesantita con emendamenti, ma – dice Pannick – il governo non può aspettarsi che il Parlamento tratti la legge come i Dieci Comandamenti, con la Camera dei Lord nel ruolo di Mosè, che ringrazia l’Onnipotente per le tavole di pietra senza suggerire qualche opportuna modifica.
– Il governo sostiene che bisogna procedere rapidamente con la notifica, ma – dice Pannick – l’approvazione di qualche emendamento non sposterebbe i termini che il Governo si è dato per la sua presentazione.
– Il governo sostiene che verrebbe indebolito il suo potere di trattativa, ma – dice Pannick – il Primo Ministro si è impegnato a sottoporre l’accordo al voto del Parlamento e questo indebolimento, ammesso che ci sia, sarebbe il risultato dell’impegno del Primo Ministro, non della sua inclusione nel testo della legge.
– Il governo non vuole includere una clausola che, come nel caso Miller, potrebbe diventare l’oggetto di un nuovo processo in un tribunale, ma – dice Pannick – questa obiezione non riguarda un emendamento a questa legge bensì il modo di fare le leggi perché in nessun caso e per nessuna legge le assicurazioni di un ministro possono sostituire un obbligo vincolante scritto nella legge.

E se il Regno Unito e l’Unione Europea non riuscissero ad accordarsi sui termini dell’uscita dall’Unione? La sovranità del Parlamento dovrebbe essere esercitata anche in queste circostanze e il governo dovrebbe ottenere l’approvazione dei due rami del Parlamento prima di decidere di respingere un accordo offerto dall’Ue e quindi ritirarsi dall’Unione senza nessun accordo. La Corte Suprema si è già pronunciata sulla sovranità del Parlamento cui spetta decidere se sia meglio un accordo insoddisfacente o nessun accordo.

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