di Riccardo PIZZORNO per @SpazioEconomia

La stima degli arrivi turistici mondiali in Italia calcola che si sia arrivati a crescere nel 2016 del 4,3% fino a sfiorare i 62,3 milioni. Per il nostro Paese, lo studio evidenzia un rafforzamento del recupero dei flussi turistici, già avviato nel biennio precedente, grazie anche alle dinamiche economiche e turistiche a livello internazionale come ad esempio lo spostamento dei flussi dal bacino nordafricano verso le mete europee, fra cui l’Italia, accreditata anche da una maggiore tranquillità e minor rischio di attacchi terroristici.

Considerando gli arrivi dal vecchio continente, sono i Paesi dell’Europa Centrale ad avere la fetta più grande: 22,5 milioni di arrivi in Italia stimati nel 2016, con la maggior parte derivante dalla Germania che cresce del 2,8%. Il Regno Unito, quarto mercato europeo in termini di importanza, è cresciuto sotto la media (+1,8%) anche a causa del minore potere d’acquisto successivamente al deprezzamento della sterlina. Fra i Paesi extraeuropei, primeggiano gli arrivi dagli Stati Uniti (+6,5%).

Ancor più positive le stime per l’anno in corso: i flussi incoming stranieri si prevede raggiungeranno circa 64,8 milioni, il 4,1% in più in confronto al 2016. Spetterà ancora ai Paesi extraeuropei guidare la classifica dei mercati di origine della domanda con il più alto tasso di crescita (+4,6%), grazie anche al consolidamento sul mercato nipponico ed alla crescita di quello americano agevolato dal riequilibrio dollaro-euro.

Al fine di potenziare lo sfruttamento di un patrimonio turistico tuttora non espresso in pieno, il nuovo Piano Strategico traccerà il destino del nostro turismo dal 2017 al 2022. Con questo Piano, il governo intende ridisegnare la programmazione in materia di economia del turismo rimettendola al centro delle politiche nazionali e dando operatività all’indirizzo strategico di creare una visione omogenea in tema di turismo e cultura.

Il documento agisce su leve fondamentali come l’innovazione tecnologica e organizzativa, la valorizzazione delle competenze, la qualità dei servizi. Tali aspetti saranno integrati con la necessità di un utilizzo sostenibile e durevole del patrimonio ambientale e culturale.

Delle quattro macro aree di intervento previste, vorremmo soffermare la nostra analisi in particolare sulla prima che prevede una serie di azioni e di investimenti per trasformare le grandi città d’arte come Roma, Firenze, Venezia, Napoli, e le altre località ormai inflazionate, come Rimini, Riccione, la Versilia, il Salento e i laghi, in porte di accesso a destinazioni meno conosciute ma non meno belle. Magari dotate come le grandi città, di beni e dimore di importanza storica eccelsa.

Nel nostro Paese, accreditato spesso del 60% dei beni culturali mondiali, il patrimonio storico-artistico architettonico, costituisce infatti parte essenziale dell’identità culturale. La conservazione di questo patrimonio richiede che esso venga tramandato alle generazioni future attraverso la tutela e valorizzazione degli edifici e dei giardini storici, preservandoli dal degrado e dalla distruzione.

Le dimore storiche non sono sempre dei musei e conservarle significa anche mantenerle in qualche modo vive, attraverso destinazioni compatibili con la vocazione degli edifici stessi. L’Associazione Dimore Storiche Italiane, nasce a Roma nel 1977 sull’esempio di analoghe associazioni già operanti in altri Paesi europei. Essa è sorta grazie all’impegno e alla passione di alcuni proprietari fedeli custodi di quello che si può senza alcun dubbio definire il più importante patrimonio storico-artistico mondiale e dal 27 aprile 2016 viene presieduta da Gaddo della Gherardesca. 

L’Associazione Dimore Storiche Italiane Ente Morale Riconosciuto con DPR 26/11/90, non ha scopi di lucro e promuove con un’intensa attività culturale la conservazione, la valorizzazione e la corretta gestione delle dimore storiche e si è sempre attivata per sostenere la promulgazione di leggi e regolamenti che ne agevolino la tutela e il corretto utilizzo, per permettere a questo preziosissimo patrimonio di continuare ad avere una sua funzione sociale, mantenere un legame con le radici storiche della nostra cultura, favorire la formazione culturale dei giovani e produrre ricchezza.

I problemi attuali di tanti proprietari consistono nel fatto che “lo Stato che, con fatica deve proteggere già tanti beni, fece una sorta di patto con i privati mettendoci una serie di vincoli. I nostri immobili non si possono dividere; se li vuoi vendere lo Stato ha la prelazione etc etc. In cambio avevamo uno sgravio fiscale sui redditi. Lo Stato ci deve 160 milioni di euro di contributi. Risultato? Più del 50% dei proprietari di dimore storiche notificate non ce la fa più. Tragico errore. Le dimore storiche se ben valorizzate e, soprattutto, non più penalizzate, farebbero da volano all’economia d’interi territori. Turismo, ospitalità, produzione enogastronomica, artigianato. Per competere noi dobbiamo vendere sogni e atmosfere”, parole ancora pronunciate dal Presidente all’atto della sua nomina.

Come sempre, alle parole i governanti italiani non riescono mai a far seguire i fatti. Una miopia tanto maggiore quanto il potenziale turistico inespresso da queste dimore meravigliose.

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