In poco più di due anni, dal 2015, in 232 hanno chiesto informazioni all’associazione Luca Coscioni su come ottenere l’eutanasia all’estero. Di questi in 115 si sono poi effettivamente rivolti a cliniche in Svizzera, come alla fine ha fatto dj Fabo, morto stamattina. Ma alcuni tra questi hanno poi cambiato idea. A dimostrazione che chi si interessa non è né influenzato né costretto. A rendere noti questi dati è la segretaria dell’associazione Luca Coscioni, Filomena Gallo. I numeri sono in crescita, come conferma il presidente dell’Associazione Exit-Italia, Emilio Coveri, che sottolinea come “in media, sono circa 50 l’anno gli italiani che chiedono e in molti casi ottengono il suicidio assistito in Svizzera”. Sono “90 al mese i cittadini italiani – ricorda Coveri – che chiamano per chiedere di avere informazioni su come ottenere il suicidio assistito in Svizzera. E mi è capitato anche di ricevere due richieste per pazienti minorenni, da parte di genitori disperati. Naturalmente, per loro non abbiamo potuto fare nulla”. Secondo l’esperto, “il numero di coloro che chiedono il nostro aiuto è in aumento e si tratta nel 20-30 per cento dei casi di malati psichici: situazioni che nemmeno la Svizzera riesce ad affrontare bene, perché è davvero difficile capire malattie di questo tipo”. “A giudicare dalla crescita vertiginosa delle chiamate che riceviamo – sottolinea Coveri – è davvero urgente una legge anche in Italia, un Paese che obbliga ancora oggi a morire in esilio. Ma non credo che verrà fuori una buona legge e chi potrà permettersi di pagare continuerà ad andare in Svizzera per morire dignitosamente”.

La fine della vita ottenuta oggi da dj Fabo, dal momento di attivazione delle procedure mediche e farmacologiche, richiede circa 10 minuti. Ma è l’ultima fase di un lungo e preciso protocollo previsto dalla legge svizzera sulla “Morte Volontaria Assistita“. Il primo passo, spiega Coveri, prevede l’attivazione dei contatti con la struttura sul territorio svizzero e l’invio della documentazione medica che attesti la patologia da cui la persona è affetta. Dopo l’accettazione da parte della struttura è previsto un colloquio con il medico che accompagnerà alla fine il soggetto. Per legge, il medico è tenuto a far desistere il paziente che lo ha richiesto dall’atto finale e, quindi, reiteratamente chiederà alla persona se vuole terminare i suoi giorni oppure vuole rimandare il tutto ad un altro momento. Il soggetto, sottolinea Coveri, può sempre cambiare idea e potrà fare ritorno a casa. Se invece si vuol proseguire nell’intento, il medico incontrerà nuovamente il paziente e ripeterà la richiesta se davvero si vuole procedere.

L’atto di accompagnamento alla “dolce morte”, chiarisce il presidente di Exit Italia, “consiste nella preparazione di una dose letale a base di Pento Barbital di Sodio. Precedentemente, al paziente vengono somministrate due pastiglie antiemetiche (antivomito) in modo da poter assorbire meglio il composto chimico. A questo punto, il medico, ancora una volta, chiederà di desistere, ma nel caso in cui la persona voglia procedere, verserà la dose letale in un bicchiere di acqua per poterla sciogliere”. E’ “assolutamente indispensabile – afferma Coveri – essere in grado di intendere e volere in quel momento e soprattutto poter essere in grado di prendere il bicchiere in mano e poterlo bere deglutendo il composto disciolto in esso. Per i malati di Sclerosi laterale amiotrofica tracheotomizzati, a cui è stata applicata la Peg, ossia il sondino che porta qualsiasi tipo di nutrizione o liquido direttamente nello stomaco, tale dose verrà introdotta direttamente come se fosse una bevanda qualsiasi”.

In pochi minuti, continua, “il paziente si addormenta profondamente, in quanto tale composto contiene una forte dose di sonnifero. Nei minuti successivi, con il paziente addormentato e che non può percepire più nulla, interverrà l’arresto cardiaco, in quanto la dose letale è composta anche dal cloruro di potassio che fa in modo che il cuore si fermi”. Complessivamente, dalla somministrazione del composto di farmaci alla fine, sottolinea Coveri, “il tempo necessario è di poco più di dieci-quindici minuti”. Il costo complessivo per ottenere il suicidio assistito in una struttura svizzera, conclude, “è di circa 10mila euro“.

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