“Sono ormai passati molti anni da quando, nel 2005, dalla collaborazione tra diverse professionalità interne alla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, ha preso forma un progetto di valorizzazione delle emergenze archeologiche e del patrimonio storico e architettonico del Rione Testaccio con l’obiettivo di promuoverne la complessa identità storica e farne conoscere l’evoluzione nel tempo”. Renato Sebastiani e Alessia Contino, parlando nel 2013 del Museo diffuso che la Soprintendenza stava realizzando nel Rione romano, sulla riva sinistra del Tevere, non avevano incertezze. Un progetto ideato e gestito dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, nel quale sono coinvolti il Municipio I Roma Centro Storico, il Reale Istituto Neerlandese di Roma, la Fondazione Bordoni e alcune professionalità private. Un sistema museale integrato “(che) prevede un percorso fisico nel rione, un percorso multimediale e l’allestimento di un’area archeologica e di uno spazio destinato alla didattica per l’infanzia”. Poi “in corrispondenza dei punti di interesse verranno posizionati pannelli didattico illustrativi”.

Un’operazione che avrebbe valorizzato le “significative testimonianze e presenze monumentali delle varie epoche”. Punto di partenza, l’area archeologica e lo spazio espositivo nel Nuovo Mercato Testaccio, tra le vie Franklin, Galvani, Ghiberti e Manuzio. Aperte al pubblico, secondo le intenzioni della Soprintendenza. Non è andata propriamente così. Il sito con i resti di strutture commerciali di età primo e medio imperiale, rivelate dalle indagini di archeologia preventiva iniziate nell’aprile 2005 e concluse nel novembre 2009, è ancora un cantiere. Visitabile solo su prenotazione con l’accompagnamento di personale autorizzato. Per il completamento del restauro e l’allestimento di una struttura che permetta di aprirlo, definitivamente, si parla di una cifra che sfiora i 500mila euro. Per questo motivo a novembre 2016 i venditori del Mercato hanno pensato di avviare una raccolta fondi e si sono dati da fare per pubblicizzare i resti. A poca distanza c’è il Monte Testaccio, conosciuto anche come Monte dei Cocci. Una collina artificiale che raggiunge gli oltre 50 metri di altezza, formato da testae, cioè cocci. In prevalenza frammenti di anfore usate per il trasporto dell’olio proveniente in gran parte dalla Betica, scaricate e accumulate dopo essere state svuotate nel vicino porto fluviale. Attività questa che venne praticata tra il periodo augusteo e la metà del III secolo dopo Cristo. Salire su quell’altura artificiale significa avere uno sguardo privilegiato sulle relazioni commerciali tra la Capitale e la provincia spagnola, ma anche sulle abitudini alimentari nell’antichità. La visita dell’area, di proprietà della Sovrintendenza capitolina ai Beni culturali, non è agevole. E’ “obbligatoria” la prenotazione telefonica e “l’ingresso è consentito solo a gruppi accompagnati”.

Altro elemento del Museo è la Porticus Aemilia, quel che resta del magazzino commerciale del II sec. a. C., tra via Rubattino e via Florio. “Cinque anni di lavoro consentono alla Soprintendenza di riconsegnare la Porticus Aemilia, un parco fruibile, un monumento che sarà visibile e racconterà la sua storia di giorno e di notte, grazie all’impianto di illuminazione che … consentirà aperture serali”. Francesco Prosperetti, Soprintendente per il Colosseo e l’Area Archeologica Centrale di Roma, a maggio 2015 celebrava così l’inaugurazione dell’area archeologica, dopo l’intervento di recupero, costato intorno ai 200mila euro. L’ingresso è libero, è vero, dalle 9,30 alle 19,00. Però chi abbia voglia di visitarla non ha molte occasioni, il martedì e il giovedì, oltre al primo e al terzo weekend del mese. Comunque ora è chiuso da diverse settimane e lo sarà “fino al completamento verifiche post sisma”. Fulcro indiscusso di questo sistema museale l’Emporium, i resti del porto fluviale di Roma, realizzato agli inizi del primo secolo dopo Cristo. Una lunga banchina pavimentata in lastre di travertino da cui si accede a due file di magazzini che si affacciano su un corridoio criptoportico, seminascosti alla vista dai muraglioni del lungotevere Testaccio. Strutture grandiose che si snodano per circa 150 metri. Peccato che quel che rimane, anche per l’innalzamento del livello delle acque del fiume, non è in condizioni di conservazione ottimali. Problema tutt’altro che trascurabile, evidentemente. Così l’area archeologica continua a rimanere sostanzialmente chiusa, fatta eccezione per occasioni particolari. Insomma il Museo diffuso Testaccio continua ad essere poco più che un’idea. Il progetto, che si sarebbe dovuto inserire “in un’opera di riqualificazione urbana del Rione”, rendendo “manifesta l’identità storica e culturale del quartiere”, è ancora lontano dalla sua realizzazione. La fruibilità, nei migliore dei casi, a intermittenza.

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