di Cristiano Lucchi *

Un paio di anni fa, nella giornata internazionale dedicata al ricordo del genocidio dei rom nei lager nazifascisti, Matteo Salvini dichiara: «I campi Rom? Li raderei tutti al suolo». Il Corriere della Sera ne scrive e il leader della Lega Nord rilancia l’articolo su Facebook con la chiosa: «Voi cosa fareste?», invitando così – più o meno velatamente – a tirar fuori il peggior razzismo di cui è capace parte del popolo italico. Ed ecco che arrivano migliaia leoni da tastiera che mettono nero su bianco «Razza da eliminare. Manganello e olio di ricino» o anche «Il solo Rom buono è quello morto» e via dicendo.

Altre volte Salvini si impegna in prima persona. Nel 2009 a Pontida canta in coro «Senti che puzza, scappano anche i cani. Sono arrivati i napoletani…» successivamente ammonisce: «I poverini non sono quelli di Lampedusa che vengono disinfettati: i poverini sono i cittadini di Lampedusa e di Bergamo che poi vengono derubati da chi viene disinfettato» o suggerisce, sempre cantando in coro, questa volta rivolto all’allora ministra di origine congolese: «Kyenge fuori dalle palle».

Trova anche il tempo di consigliare ai gestori della metro milanese «di riservare le prime due vetture alle donne italiane» per «non subire l’invadenza degli extracomunitari» auspicando così un’Italietta ante Rosa Parks. Nel 2015 Facebook lo blocca per 24 ore per aver usato parole razziste nei confronti degli «zingari». La sua reazione? «Se andiamo al governo rado al suolo tutto». Di nuovo.

Arriviamo al dunque. Matteo Salvini viene invitato a Firenze Libro Aperto. Al festival espongono anche le EdizioniPiagge, casa editrice della Comunità di don Alessandro Santoro, che chiede di annullare l’evento perché «non c’è traccia di nessuna “trama culturale” nel dare spazio e visibilità alle pericolose posizioni razziste di Salvini» e annuncia che chiuderà lo stand per protesta. Gli organizzatori vanno però avanti. Arriva il momento e… l’accoglienza è festosa. Riporta l’Ansa: «Tante richieste di selfie, autografi e fotografie per Matteo Salvini, il segretario della Lega ha ricevuto in dono libri, strette di mano e applausi». Amen.

In questa sede ci interessa piuttosto fare un po’ di chiarezza verso coloro, anche a sinistra, che hanno definito «fascista», «talebana», «non rispettosa della libertà di espressione» la protesta piaggese.

In questo caso la libertà di parola – free speech – c’entra poco. C’entra piuttosto il cosiddetto incitamento all’odio ovvero quel discorso pubblico che esprime odio e intolleranza verso una persona o un gruppo (razziale, etnico, religioso, di genere o orientamento sessuale). L’hate speech è da tempo al centro della giurisprudenza americana, e recentemente anche europea, per arginare quelle discriminazioni verbali che rischiano di provocare reazioni violente contro una persona o un gruppo.

Ricorda Giovanni Ziccardi, professore associato di informatica giuridica alla Statale di Milano e autore di L’odio online. Violenza verbale e ossessioni in rete (Cortina 2016): «L’istituzionalizzazione dell’odio porta a un aumento del livello di tolleranza, che è molto facile da raggiungere ma molto difficile da rimuovere. Se ci abituiamo a un certo tipo di espressioni e la nostra asticella di tolleranza si alza, diventa poi difficile tornare indietro».

Il discorso pubblico di Salvini va contrastato e non incoraggiato. Spiace che ancora una volta la Comunità delle Piagge sia poco più che isolata in una città che ha ormai messo in un angolo l’antifascismo – rare le eccezioni, come ad esempio Firenze Antifascista o l’Anpi – e che accoglie a braccia aperte leader politici che fanno del razzismo uno dei loro cavalli di battaglia. Lo stesso segretario della Lega ha così salutato Firenze: «Neanche un insulto, sono preoccupato…».

Sul tema, a quanto pare misconosciuto, è utile conoscere gli strumenti offerti dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) che ha messo online gli atti del convegno Hate Speech e libertà di espressione in cui si offre un quadro di conoscenze giuridiche sull’hate speech a sfondo razziale, etnico, nazionale o religioso, mettendo in luce i nodi irrisolti e le lacune della legislazione vigente. Da leggere è certamente anche la prima ricerca italiana sul tema L’odio non è un’opinione. Hate speech, giornalismo e migrazioni curata dalla Ong Cospe nell’ambito del progetto europeo contro il razzismo e la discriminazione su web.

* giornalista, perUnaltracittà

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