In un grafico El País segnala in rosso i 12 paesi (Germania, Cina, Australia, Iran e Messico, tra gli altri) che hanno vissuto sulla pelle attriti con il tycoon Donald Trump, a poche settimane dal suo insediamento. Una sorta di mappa del rischio geopolitico, quasi fosse una carta topografica sulla sismicità nel mondo.

La Spagna è paese che dovrebbe rimanere immune dalle scosse telluriche prodotte dalle politiche o, se si vuole, dagli annunci di Trump. Infatti il premier Mariano Rajoy, leader del partito conservatore iberico, è stato tra i primi a dichiararsi pronto a collaborare con il neo Presidente americano. In una telefonata con il tycoon, il premier iberico si è offerto come interlocutore privilegiato tra la Casa Bianca e l’Europa, ma anche come naturale testa di ponte tra l’amministrazione statunitense e l’America Latina.

Sono bastati 15 minuti di conversazione al telefono – addirittura cinque giri di lancette in meno di quelli programmati – perché i due omologhi trovassero una rapida intesa. Le reazioni del nuovo esecutivo statunitense alle ‘sirene’ iberiche sono state laconiche e di circostanza, ben altro tono ha usato l’inquilino de La Moncloa il quale ha dato grande risalto a quello che per tanti si è rivelato un vero atto di sottomissione.

“Una sorta di maggiordomo di Trump” hanno commentato i socialisti del Psoe, i quali rivedono nell’atteggiamento di Rajoy la stessa foto stinta che nel marzo 2003 ritraeva José Maria Aznar, allora presidente del Governo, al fianco di George W. Bush e Tony Blair, nelle settimane preparatorie all’invasione dell’Iraq.

I socialisti spagnoli rimproverano al Capo dell’esecutivo il mancato richiamo alle tensioni tra gli Stati Uniti e il Messico nonché l’assenza di una presa di posizione ferma sul programma di costruzione del muro di confine, argomento “dimenticato” da Rajoy nei 15 minuti di conversazione col presidente Trump. Il premier iberico ha preferito soffermarsi sui successi spagnoli, sulla stabilità del suo governo – raggiunta in verità dopo uno stallo istituzionale durato più di un anno – e sui dati economici che vedono gli indici di crescita superare il 3%.

Avrà molto lavoro Rajoy nei prossimi mesi per poter mediare nel mondo – a proposito, si è proposto interlocutore anche per l’Africa del Nord e il Medio Oriente – in nome e per conto di Trump, districandosi tra le inquietudini e le ostilità che il presidente americano provoca ad ogni dichiarazione o in seguito alla sottoscrizione di un nuovo editto davanti a decine di telecamere.

Peccato che Rajoy abbia dimostrato di conoscere poco l’arte della mediazione già nei rapporti interni, tra Madrid e la Catalogna ad esempio, regione nella quale le spinte indipendentiste sono sempre più forti, peccato non si sia curato di ricordare al tycoon che la questione Messico è avvertita in Spagna con grande interesse.

Sono settimane che la stampa spagnola pone l’accento sulla insensatezza dell’innalzamento del muro al confine con editoriali dai titoli eloquenti, quali In difesa del Messico,  La Spagna non può essere equidistante tra il Messico e Trump (El País), o ancora Col Messico, contro Trump (El Mundo), un pezzo di Luis María Anson della influente Real Academia Española.

Non sono solo legami culturali e linguistici ad unire la Spagna al grande stato centro americano, ma anche rapporti economici forti con un saldo attivo per il paese iberico, e il ricordo del sostegno militare e politico del Messico alle forze repubblicane durante la Guerra civile spagnola, con migliaia di rifugiati antifranchisti che trovarono riparo in terra messicana una volta che Francisco Franco prese il potere.

Il ministro degli esteri Alfonso Dastis, nel tentativo di stemperare le polemiche, è dovuto intervenire dichiarando appoggio incondizionato al Messico, intanto Rajoy il mediatore si attrezza per costruire ponti, per conto di Trump, sopra acque tempestose, in giro per il mondo.

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