Daniele è un bambino calabrese di 6 anni. Figlio unico, vive con i genitori in un cadente monolocale di un quartiere periferico. Suo padre porta lo stipendio facendo l’arrotino per le strade del paese. La mamma lavora ad ore con la pulizia delle scale. Entrambi vengono da famiglie povere; entrambi sono semi-analfabeti; entrambi sognano per Daniele un futuro diverso. Ma non sarà per nulla facile.

Quest’anno, quando con tanta emozione hanno accompagnato Daniele al primo incontro con la futura maestra di prima elementare, hanno avuto una brutta sorpresa. «Vostro figlio – ha sentenziato l’insegnante con fare perentorio – è un bambino rom. Pertanto ha una innata resistenza psicologica verso ogni processo di apprendimento standard. Per il bene di Daniele – ha concluso la maestra – sarebbe meglio attivare per lui da subito un processo di apprendimento specifico e personalizzato».

La maestra di Daniele è una giovane insegnante originaria di Lecco.  Si è voluta preparare al colloquio perché non aveva mai avuto a che fare con una famiglia rom e la preside le aveva riferito che quella di Daniele, anche se dal cognome italiano e presente nel Meridione da almeno 6 secoli, era una famiglia diversa dalle altre perché il padre del bambino è rom. Prima di incontrare Daniele e i suoi genitori si era quindi andata a spulciare le Linee guida del ministero che, nel capitolo riservato agli “Alunni Stranieri”, tra il paragrafo dedicato agli “Alunni arrivati per adozione internazionale” e quello riguardante gli “Studenti universitari con cittadinanza straniera” ha un paragrafo dal titolo “Alunni rom, sinti e caminanti”. Al suo interno raccomandazioni e suggerimenti per i docenti.

Una parte dei «gruppi di origine nomade» – si legge nel testo ministeriale – «appartiene a famiglie residenti in Italia da molto tempo ed ha cittadinanza italiana, spesso da molte generazioni».

«Ecco Daniele, l’ho trovato!» – avrà pensato la maestra prima di continuare la lettura. «La partecipazione di questi alunni alla vita della scuola non è un fatto scontato – si legge -. Non bisogna però ritenere che ciò derivi esclusivamente da un rifiuto ad integrarsi: accanto a fattori di oggettiva deprivazione socio-economica, vi è infatti una fondamentale resistenza psicologica verso un processo, quello della scolarizzazione, percepito come un’imposizione e una minaccia della propria identità culturale, cui si associano, d’altra parte, consuetudini sociali e linguistiche profondamente diverse dalle nostre. I bambini rom sono abituati ad imparare interagendo direttamente in modo personale e concreto, con i membri della propria comunità, e per questo appaiono poco inclini a prestare attenzione al discorso, anonimo e astratto, rivolto dall’insegnante all’intera classe. Lavorare con alunni rom – raccomanda il Ministero alla maestra di Daniele – richiede molta flessibilità e disponibilità ad impostare percorsi di apprendimento specifici e personalizzati, che tengano conto del retroterra culturale di queste popolazioni».

Le parole del Ministero dell’Istruzione si fondano su una solida base scientifica: i rom sono particolari, diversi dagli altri, soggetti premoderni che si muovono, come zombie, in una società tecnologicamente avanzata. Lo ha sostenuto la presidente onoraria del prestigioso Forum Internazionale ed Europeo di Ricerche sull’Immigrazione Giovanna Zincone quando, da consulente per la coesione sociale del presidente Napolitano, ha scritto sul papà di Daniele e sul suo lavoro: «Quando mi sono occupata di questo tema, mi è parso di cogliere, nella comunità rom, i tratti di una cultura premoderna dolorosamente inserita nella modernità. Premoderni si possono considerare l’uso dello spazio e l’uso del tempo. Il lavoro di arrotino non trova grandi opportunità nelle economie contemporanee».

Quando si generalizza i giudizi pesano come macigni ed il pensiero degli intellettuali, assorbito dalle politiche sociali, rischia di degenerare in prassi razziste. E così Daniele, bambino calabrese di 6 anni, avrà un futuro scolastico segnato dalla nascita.

I rom sono la sola comunità in Italia vittima di pratiche istituzionali pensate e realizzate su base etnica e per lo Stato, Daniele, ancor prima di essere un bambino che si affaccia alla scuola dell’obbligo, è un rom, incasellato in un paragrafo all’interno di Linee Guida. Anzi, un mezzo rom. Se 70 anni fa Daniele fosse nato nella Germania nazista, lui, con padre rom e madre non rom, sarebbe stato classificato come ZM+, “sangue zingaro” per metà. Settant’anni che sembrano ieri.

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