Quello di San Valentino è senza dubbio un giorno appropriato per gli accoppiamenti. Anche nell’industria dell’automotive, con amori che si allontanano e poi ritornano più o meno repentinamente come nel caso del PSA Peugeot-Citroen e Opel. E’ infatti confermato che il gruppo francese stia trattando con General Motors per l’acquisizione della sua divisione europea, con base a Russelsheim.

La notizia è di quelle che colpiscono, se non altro perché relativamente inaspettata. Nelle rispettive note ufficiali le due aziende hanno confermato di “prendere in esame ogni ulteriore ampliamento delle collaborazioni” esistenti nell’ottica di migliorare efficienza e profittabilità, ivi inclusa la “potenziale acquisizione di Opel/Vauxhall da parte del gruppo PSA”. Frase che messa in chiusura di un comunicato ha un certo peso, anche se accompagnata dalla formula dubitativa di rito: “non c’è nessuna garanzia che verrà trovato un accordo“.

Psa e Opel già da tempo hanno in piedi diversi progetti, come la collaborazione per la produzione di sport utility e minivan. Ma un’acquisizione vera e propria aprirebbe le porte della tecnologia tedesca, soprattutto quella delle auto elettriche, e potrebbe garantire anche un taglio dei costi. Dando nondimeno vita al secondo costruttore europeo per volumi: PSA e Opel insieme varrebbero il 16,3% delle vendite nel vecchio continente, secondo solo al gruppo Volkswagen attestato intorno al 24%.

Ma perché General Motors dovrebbe vendere Opel? Innanzitutto perché ci aveva già provato nel 2009 dopo la bancarotta. Tuttavia alla fine prevalse il desiderio di non abbandonare una piazza strategica come quella europea. Nel 2014 poi, con il ritiro del marchio Chevrolet dal vecchio continente, nei piani dei manager americani la casa di Russelsheim avrebbe dovuto assumere un ruolo sempre più importante. Cosa che in parte è avvenuta, anche grazie a nuovi prodotti e tecnologie, al punto da far indicare il 2016 come anno di svolta: dal break even ai profitti finalmente, dopo decine di anni bui. Nonostante la forte concorrenza, soprattutto dei coreani di Hyundai-Kia e della stessa Volkswagen.

All’improvviso, però, arriva l’imponderabile. Ovvero il voto favorevole all’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Opel, e la sua omologa inglese Vauxhall importano componentistica in Inghilterra e da lì esportano prodotti finiti, ovvero auto. L’equilibrio dei conti dipende dall’accordo di free trade che in futuro non si sa se sarà garantito, e dunque il grande vulnus del “leave” comincia a fare effetto. All’ultimo salone di Parigi l’ad Opel Karl Thomas Neumann quantificò i mancati introiti da esso derivanti già per il 2016: 400 milioni di euro. Quanto è bastato per sostituire il colore rosso al nero nei conti di fine anno: -257 milioni di dollari, ragionando in termini di valuta americana. Un’America, come quella del colosso GM, evidentemente stufa di perdere soldi in Europa senza certezze sul futuro, dunque pronta a lasciare il vecchio continente e a parlarne con chi è interessato: Psa, nella fattispecie.

I francesi, dal canto loro, sono appena usciti da una situazione non facile. A fine 2013 c’era stato il salvataggio da parte del governo francese e dei cinesi della Dongfeng: a entrambe le parti sono andate il 14% delle azioni del gruppo. A questo era seguita a stretto giro di posta la vendita da parte di GM, che evidentemente non si fidava del nuovo asset, della propria quota di azioni PSA (ovvero il 7%). Poi è arrivato sul ponte di comando, dalla Nissan, un manager capace come Carlos Tavares, che ha riportato l’azienda agli utili focalizzandosi su pochi modelli, ma profittevoli. Come detto ai francesi ora fa gola il know how tecnologico, ma avranno il loro bel da fare per gestire la eventuale sovraccapacità produttiva: PSA ha 10 stabilimenti in Europa mentre Opel 11. E il potente sindacato dei metalmeccanici tedeschi IG Metall è già sul piede di guerra, avendo dichiarato che “se la notizia dell’acquisizione fosse vera, sarebbe una violazione senza precedenti del principio di co-determinazione dei diritti, tedeschi ed europei”. Sempre che l’affare si faccia, e il banco non salti proprio all’ultimo.

 

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