Fino a venti miliardi di debito pubblico aggiuntivo per salvare banche in difficoltà ma niente, o quasi, per quanto riguarda gli stipendi dei manager degli istituti aiutati dai contribuenti. Su questo punto, un po’ a sorpresa, il decreto “salva risparmio” si limita infatti a passare la palla, sgonfia, al Tesoro. Il testo, che nella serata di lunedì 13 ha avuto il via libera delle commissioni Bilancio e Finanze della Camera senza modifiche rispetto a quanto approvato dal Senato con la fiducia, nonostante le 146 proposte emendative, approderà in aula martedì mattina e si limita ad affermare che il ministero dell’Economia potrà subordinare la sottoscrizione del capitale ad alcune condizioni, tra cui l’introduzione di un tetto alla retribuzione complessiva dei membri del consiglio di amministrazione e dell’alta dirigenza dell’istituto. Dunque una semplice facoltà e non un obbligo.

Eppure nel corso dei lavori parlamentari di mozioni in merito ne erano state presentate diverse, alcune anche approvate in Commissione. Una mozione della minoranza Pd prevedeva ad esempio un tetto massimo di 294mila euro lordi per la busta paga di amministratori delegati e presidenti “salvati”. Un’altra del Movimento 5 Stelle e di Sinistra italiana contemplava il divieto di erogazione dei bonus e un taglio del 30% allo stipendio. Forza Italia proponeva di azzerare la parte variabile della retribuzione. La mozione che aveva coalizzato attorno al suo testo i maggiori consensi, forte anche del supporto di alcuni ministri tra cui Carlo Calenda, era però quella approvata lo scorso 11 gennaio.

Una proposta dettagliata e sviluppata su tre punti chiave: nuove regole sugli stipendi dei manager, possibilità per lo Stato di avviare autonomamente (quindi senza bisogno del via libera dell’assemblea dei soci) un’azione di responsabilità nei confronti dei dirigenti che hanno condotto una banca al dissesto, decadenza degli accordi relativi alle buone uscite dei dirigenti che abbandonano l’istituto. La parte dedicata agli stipendi è modellata sui principi del Tarp (troubled asset relief program) statunitense, il piano da 700 miliardi di dollari varato nel 2008 per salvare il sistema bancario a stelle e strisce colpito dalla crisi dei mutui subprime. Quindi per le banche aiutate dallo Stato gli stipendi devono essere legati per una parte significativa ai risultati dell’istituto e ogni forma di bonus o incentivo può essere erogata solo dopo che lo Stato abbia recuperato quanto erogato. Nulla di tutto questo ha però trovato posto nel decreto licenziato da palazzo Madama.

E’ probabile che il ministero dell’Economia qualche sforbiciata deciderà di farla anche perché, almeno in teoria, esistono anche indicazioni europee su questo punto. Una comunicazione del 2013 della Commissione Ue sugli aiuti di Stato alle banche specifica infatti che lo stipendio dell’amministratore delegato non dovrebbe superare di 15 volte il salario medio nazionale o di 10 volte il salario medio della banca. La Commissione aggiunge che eventuali indennità di licenziamento non dovrebbero mai andare oltre quanto previsto contrattualmente.

Naturalmente i primi sulla lista dei possibili tagli sono i vertici di Mps di cui una volta completato il salvataggio da 6,6 miliardi di euro il Tesoro dovrebbe diventare azionista con il 66% circa. Marco Morelli, che non ha responsabilità per il dissesto ma che oggi ricopre la doppia carica di amministratore delegato e direttore generale percepisce un compenso di 1,4 milioni di euro lordi l’anno. Ha ricevuto una “buona entrata” di 300mila euro e nel caso venisse mandato via senza una giusta causa avrebbe diritto a 24 mensilità. Il manager, che ha deciso di devolvere 200mila euro della sua retribuzione al fondo di solidarietà per i dipendenti del gruppo, ha affermato qualche giorno fa l’intenzione di restare alla guida del Monte anche se il suo compenso verrà abbassato. “Preferisco che sia ridotto il mio stipendio in maniera pesante ma che vengano tutelate figura di manager che sono importanti per la banca”, ha affermato il manager. Il ministro dell’Economia per ora si è limitato a ribadire la fiducia nell’attuale management. Senza affrontare il tema della retribuzione.

A inizio gennaio i sindacati della banca senese hanno chiesto al ministro di tagliare vigorosamente le buste paga dei vertici applicando il tetto di 240mila euro previsto per i manager pubblici di società non quotate. Negli anni passati diversi Stati che hanno effettuato salvataggi bancari hanno contestualmente previsto interventi sulle buste paga dei vertici. Oltre ai già citati Stati Uniti, tetti alle retribuzioni sono stati fissati in Spagna (300mila euro lordi per le banche nazionalizzate, 600mila per quelle che hanno avuto solo prestiti), Germania (500mila euro) e Irlanda (anche in questo caso 500mila euro).

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