Io non parlo italiano, però capisco ‘pompa’ ”. Quando Mika, neo giudice di X Factor 7 (2013), si cimenta nella presentazione della concorrente Roberta Pompa, che poi farà parte della sua squadra, diventa in un attimo idolo planetario. “E’ veramente tuo nome? Mamma Pompa, Papà Pompa?”. Se nel montaggio qualche risatina è stata tolta, non è dato sapere. Noi però sappiamo che il cantante britannico oggi 33enne, Michael Holbrook Penniman Jr., si è comportato con classe cristallina, forse memore della sua infanzia e adolescenza da bullizzato, ha demandato i gridolini sul cognome della concorrente al pubblico e ai colleghi di giuria. Impeccabile, inappuntabile, spontaneo, elegante e brioso, Mika poteva starsene anche a casa a comporre i brani di un nuovo album dal successo mondiale. Invece ecco la congiunzione astrale della simpatia ad oltranza: Mika e l’italiano, due pianeti belli e soleggiati nell’universo dello showbiz nazionale. “Tu canti come un gatto drogato in una discoteca di striptease alle cinque del mattino”, commentò l’esibizione di un concorrente del talent. Oppure come sinonimo di noia di fronte a un cantante che ripropose Nuntereggae più di Rino Gaetano gli disse: “Sembri un Julio Iglesias senior in un piano bar vicino Malpensa”. Inutile negarlo: Mika sta simpatico a tutti. Il suo avventurarsi nei meandri dell’italiano inglesizzato, o francesizzato, o giù di lì, è un gioco spiritoso e magnetico, mai imbarazzante come una gaffe di Mike Bongiorno.

Dopo aver conquistato il mondo del pop vendendo milioni di album in nemmeno cinque anni e cinque dischi, e, come hanno scritto Brigitte Hemmerlin e Vanessa Pontet in Mika La storia (Sperling Kupfer), senza aver “mai rinnegato la propria pop-pitudine ma anche lavorando per renderla unica”, Mika è diventato un’icona della tv italiana come, e forse più, dell’affermata popstar degli ascolti meccanici dall’autoradio mentre si va al lavoro. Grace Kelly è un must orecchiabile e intramontabile, ma è ancor più cool qualunque esibizione live di Mika ogni qualvolta compare in video. Per l’aspetto performativo in pubblico l’hanno paragonato a Freddie Mercury, ma forse lui è qualcosa di ancor più clamorosamente glamour e nazionalpopolare. Il bravo ragazzo che aiuta la nonnina ad attraversare la strada – si veda quando intona La vita è tutta un quiz con Renzo Arbore in Stasera casa Mika o quando con Dario Fo alle Invasioni Barbariche va di matto per Ho visto un re; il gentiluomo che elogia le bellezze delle mature signore – si recuperi l’ospitata di Monica Bellucci in grembiule da cucina sempre nel suo show in prima serata Rai; l’uomo vitruviano perfetto nella sua armonica compostezza fisica dopo che da bambino nella scuola più esclusiva di Londra veniva tormentato dai compagni perché era rotondeggiante come una pera e perché portava pantaloni rossi e papillon al collo. “Sacchetto di plastica”, in arabo il nome Mika voluto da mamma proprio quando nacque in Medio Oriente, è cresciuto in fretta e si è fatto rispettare ballando e danzando come Nureyev, accarezzando il pianoforte come Glenn Gould.

Inutile continuare a chiamarlo per una comparsata da ospite internazionale per fargli ripetere Popular Song o Lollipop. Mika è uno showman che meriterebbe uno spazio enorme, completamente suo. Il palco dell’Ariston tutto a totale disposizione, magari per condurre davvero Sanremo, consegnandoci l’apoteosi del pop contemporaneo. Il primo artista straniero a organizzare un festival, il primo uomo di spettacolo gay a rappresentare finalmente le masse dal luogo televisivo più guardato e ascoltato d’Italia. Dopo Mike c’è Mika: senza la fenomenologia di Umberto Eco, ma con un dizionario italiano/Mika meglio delle invecchiate gaffe di Totti. Tutto torna. E’ ora che Carlo Conti e gli zigomi della De Filippi facciano spazio alle scenografie da Yellow Submarine del ragazzino nato sotto le bombe dell’Intifada a Beirut. C’è da far casino intelligente sul palco dell’Ariston. Che il 2018 sia l’anno di Mika. Magari.

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