Due ergastoli per l’omicidio della 18enne Paula Burci, massacrata e bruciata viva per aver cercato di sottrarsi agli sfruttatori che a costringevano a prostituirsi. Al termine del processo fotocopia di quello tenuto negli anni scorsi a Ferrara, anche la Corte d’Assise di Rovigo ha condannato Sergio Benazzo, 41 anni, idraulico polesano, e la sua ex compagna Gianina Pistroescu, coetanea romena.

Il processo bis per la morte di Paula era nato dopo un colpo di scena in Cassazione nel luglio 2014. Quando la prima sezione penale della Corte annullò senza rinvio la sentenza della Corte di Assise di Ferrara per incompetenza territoriale, trasmettendo gli atti alla procura di Rovigo. E liberando per decorrenza dei termini di carcerazione preventiva i due imputati, che si sono presentati davanti ai giudici come uomini liberi. E tali resteranno fino alla eventuale sentenza definitiva.

Il corpo di Paula venne ritrovato carbonizzato lungo l’area golenale del Po a Zocca di Ro nel marzo 2008. Ci vorranno mesi per risalire attraverso l’unica parte anatomica che si era salvata, un’unghia, all’identità della vittima. Le indagini porteranno a scoprire che quella ragazza era stata fatta arrivare in Italia dalla Romania dal cugino con la promessa di un posto come colf. La giovane, dopo un breve soggiorno in un albergo di Ferrara, venne ospitata insieme a Gianina in casa di Benazzo, a Villadose di Rovigo. E da lì ogni sera veniva portata sulla strada per prostituirsi. Benazzo incassava per il disturbo 180 euro al mese di affitto e 20 euro per ogni tragitto.

Paula decise di scappare dai suoi aguzzini dopo essersi innamorata di un ragazzo italiano, che comparirà poi come uno dei principali testimoni dell’accusa. Quell’atto di ribellione le costerà la vita. Dopo averla ritrovata, “cinque o sei persone” – come testimonierà la compagna di cella della Pistroescu con la quale l’imputata si era confidata – la massacrarono a colpi di martello, forcone, e con calci e pugni. Paula perse conoscenza e da Villadose venne portata sull’argine ferrarese del Po. Qui, per far perdere ogni traccia di lei, venne bruciata ancora viva. I resti carbonizzati vennero coperti con un tronco. Li noteranno il 24 marzo del 2008 alcuni passanti.

Il processo bis ha ripercorso sostanzialmente le tappe di quello precedente, rispecchiandolo anche nella sentenza di condanna. Il “fine pena mai” si accompagna a due mesi di isolamento diurno, una provvisionale di 50mila euro, oltre al pagamento di 10mila euro di spese di giudizio e al risarcimento da quantificare in sede civile per i cinque familiari costituiti parte civile (il fratello, le due sorelle e i genitori che avevano chiesto un milione e mezzo di euro a testa).

Tra questi l’unico presente, nel giorno della sentenza come ad ogni udienza, è Aurelian. A pochi metri di distanza dagli assassini della sorella evita di commuoversi. “In questi mesi non li ho mai guardati in faccia, per me non esistono come persone. Ora torna a essere fatta un minimo di giustizia per mia sorella, anche se non basta”.

Non basta. Il motivo lo spiega indirettamente il difensore della Pistroescu, l’avvocato Rocco Marsiglia: “Da questa aula usciamo con la consapevolezza di una grande ingiustizia. Almeno due degli assassini di quella povera ragazza sono a piede libero e non sono mai stati individuati”. Dall’unghia di Paula la scientifica estrasse due campioni di dna, diversi da quelli degli imputati e rimasti fino ad oggi senza paternità.

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