Ha preso carta e penna e scritto al direttore de Il Fatto Quotidiano Marco Travaglio per criticare Renzi sulla sua battaglia strumentale – e su questo non ha torto – sul tema dei vitalizi, e per spiegare che quello che riceveranno un domani i parlamentari di oggi non è un vitalizio. Va chiamato, infatti, “trattamento pensionistico” e si tratta di una somma – soggetta al regime contributivo – che ammonterà a circa 800 euro al mese. Praticamente quasi nulla, secondo la senatrice dem Lucrezia Ricchiuti, la quale parla della pensione “come un diritto, non un privilegio”, un riconoscimento del lavoro svolto. Pertanto chi, come lei e altri, fa seriamente il lavoro parlamentare, la merita visto che quello da parlamentare, argomenta, è un lavoro duro: “Seguire i numerosi organi parlamentare – spiega Ricchiuti – ricevere sollecitazioni dal territorio e dalla società civile; presentare interrogazioni, proposte di legge ed emendamenti; tenersi informati, conoscere le regole procedurali, approfondire temi complessi, ascoltare enti, associazioni, persone singole: tutto ciò è un lavoro, non mi lamento, ma sempre lavoro è“.

Non solo. Secondo la senatrice, il vitalizio, come l’indennità, è sempre stato un modo per garantire l’indipendenza del mandato, “un’esigenza di tutela per chi vuole fare genuinamente il lavoro di parlamentare che sussiste ancora”. Comunque, conclude, di vitalizio non si abusa più, le regole sono cambiate e sono rigorose, “se non si arriva a 4 anni e 6 mesi si perdono i contributi”. Insomma sputare sui parlamentari è insultare il popolo stesso, basta con la demagogia. Ora alcune domande che vorrei porre alla senatrice Ricchiuti:

1) Perché mai non dovremmo parlare di vitalizio se quei soldi, quanti siano, vengono assegnati per tutta la vita, una volta raggiunta l’età pensionabile (di qui il significato del termine, appunto, per tutta la vita)?

2) Esiste sulla faccia della terra, e in particolare in Italia, un lavoro che per soli 4 anni e sei mesi di versamento di contributi ti consenta di avere praticamente uno stipendio – stando a quelli di oggi – per tutta la vita pensionabile? 

3) Come si fa a sostenere che 800 euro siano un’inezia, e per questo non siano vitalizio, quando abbiamo le prime generazioni, cui seguiranno le prossime, in massa, che stanno andando in pensione con 2,3,400 euro? Si rende conto la senatrice del privilegio che condivide insieme agli altri parlamentari?

4) Perché mai il vitalizio contribuisce a garantire l’indipendenza del parlamentare? Qual è il collegamento tra il fare il proprio lavoro onestamente e avere una pensione una volta raggiunta l’età pensionabile?

5) Infine: per quanto garbata sia la senatrice, e scriva senza intento polemico o demagogico, come riesce a definire “duro lavoro” quello del parlamentare? Per come lo descrive, è pari a centinaia di altri lavori e sicuramente molto meno faticoso di migliaia di altri. E in ogni caso: la (presunta) durezza del lavoro giustifica una pensione solo per aver versato cinque anni di contributi? E allora tutti gli altri?

Infine, rivolgo un appello alla senatrice: per favore, provi a fare un giro, nella pause del pesante lavoro parlamentare, nei gironi infernali dell’Inps gestione separata (e di tutte le gestioni separate, quelle che ricevono i contributi di partite Iva, co.co.co, lavori autonomi in generale). Scoprirà cose che noi umani non possiamo neanche concepire. Figuriamoci un parlamentare.

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