Quali che siano le opinioni sulla rottamazione o meno dell’euro, il dibattito dovrebbe essere onesto e rispettoso. La prima regola è non attribuire agli interlocutori posizioni che non hanno. Prendiamo l’articolo del vice direttore de Il Fatto Quotidiano Stefano Feltri, che fa sue alcune osservazioni di Draghi.

Stefano attacca chi “sogna una moneta debole per affogare nell’inflazione problemi atavici”. Ma la moneta debole non serve certo ad affrontare i problemi atavici, bensì la crisi della domanda aggregata (la spesa delle famiglie) crollata nel 2008 e mai più ripresasi. Ora:

– che ci sia in Italia una depressione della domanda è fatto acclarato, riconosciuto anche dalla BCE. Che infatti ha orientato la politica monetaria in modo estremo al sostegno della domanda.

– che una crisi della domanda sia cosa grave, anche questo è fuori discussione. Se le famiglie, timorose del futuro, non comprano, le imprese non vendono, non ricavano, devono tagliare costi e produzione, licenziano, spaventano ancor più, in un circolo vizioso profondamente distruttivo. Difatti Draghi sta stampando trilioni di euro, che cerca di far arrivare alle famiglie (via prestiti bancari: un modo troppo indiretto!) per indurle a spendere.

– che una moneta debole aiuti la domanda, anche su questo non c’è dissenso possibile fra economisti (difatti Draghi ha pilotato l’euro al ribasso del 30% circa).

Uno può dire che l’euro offre altri benefici, ma non negare che la flessibilità dei cambi aiuterebbe l’economia a riprendersi. Secondo Stefano inoltre, chi vuole una moneta debole (come Draghi con l’euro?) ha poca sensibilità sociale: “senza curarsi della perdita di potere d’acquisto dei più indifesi a reddito fisso”. Ma i più indifesi sono i disoccupati; che beneficerebbero immediatamente di un rilancio degli ordinativi alle imprese.

Stefano definisce i no-euro: “imprenditori della paura”. Al contrario, lo scopo delle politiche di domanda è tranquillizzare le famiglie sul fatto che un minimo di domanda aggregata nel sistema è garantito: dunque non debbono avere eccessivi timori e possono ricominciare a spendere con fiducia. L’accusa vale piuttosto per quelli che annunciano inevitabili apocalissi in caso di scioglimento dell’euro.

Secondo Stefano e Draghi, “cancellare la moneta unica… significa invertire … quel faticoso tragitto che è cominciato mettendo in comune carbone e acciaio sessant’anni fa” perché l’integrazione è una storia coerente, non una sommatoria di tasselli indipendenti”. Non sono questi giochi di parole? Uno può cancellare la CECA (la comunità del carbone e dell’acciaio), come avvenne nel 1967, e integrarsi in altri settori (come avvenne in seguito)! Vale anche per l’euro.

Secondo Stefano e Draghi “per costruire un mercato unico la moneta unica era desiderabile se non addirittura essenziale”. Dunque, non era essenziale. Tanto è vero che il mercato unico europeo ha funzionato per decenni e bene senza l’euro. Era desiderabile? Solo ignorando tutti i guai che ha causato, che non erano stati previsti dagli eurocrati. “La paura era che, senza una moneta unica, i ripetuti cicli si svalutazioni avrebbero distorto le condizioni per una competizione equa e minato il mercato unico nel lungo periodo”. La paura… dunque non la realtà: stiamo parlando di un fantasma mai materializzatosi!

Il vertice della mistificazione arriva con la manipolazione di concetti economici complessi che possono confondere il lettore. Senza l’euro “Un’economia che avrebbe aumentato la sua produttività e competitività avrebbe potuto essere privata dei benefici che le spettavano, in termini di maggiori quote di mercato, a causa del deprezzamento della valuta nei Paesi concorrenti. E se alcuni paesi erano [fossero stati] pronti a praticare questa strategia predatoria ai danni dei vicini (beggar thy neighbour), perché gli altri avrebbero dovuto aprire a loro  in modo permanente i propri confini?”.

A questo proposito è bene sapere che:

– I tassi di cambio si dicono “predatori” o “beggar thy neighbour” quando sono sottovalutati rispetto all’equilibrio. Riallineare i cambi per riportarli in equilibrio non è predatorio, è il contrario.

L’equilibrio in questione è quello delle Partite Correnti della Bilancia dei Pagamenti. L’euro lo garantisce? I dati smentiscono senza appello questa tesi, implicita, di Stefano. Mai stati tanto gravi, gli squilibri, quanto con l’euro.

 

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Quali sono i benefici che “spettano a un’economia che aumenta la sua produttività e competitività”? Stefano confonde – come molti giornalisti – due concetti molto diversi. A un’economia in crescita (di produttività) “spettano” maggiori quote di mercato (non maggiori surplus!). Purché non utilizzi metodi predatori “beggar thy neighbour”, sinonimo di “crescita eccessiva di competitività”. (Chi non ha chiaro questo punto farebbe bene a studiare).

Tutto ciò significa una sola cosa: che a un aumento delle esportazioni, legittimo, deve corrispondere un aumento analogo delle importazioni. Altrimenti? Immaginate un mondo con due paesi: G e R, dove l’export di G cresce sempre, ma non l’import. In questo mondo mercantilista, R riceve sempre più prodotti di G ma, non pagandoli con altri beni (esportazioni), li paga firmando cambiali: finché il debito (di R verso G) diventa insostenibile! Ecco perché aumentare all’infinito la produttività (tenore di vita) è lecito; mentre aumentare la competitività all’infinito – svalutando la moneta, o abbassando i prezzi per unità di prodotto senza rivalutare – non lo è. Questa regola (Art.1 statuto FMI) nell’ordine internazionale del dopoguerra ha sostituito il vecchio mercantilismo guerrafondaio. Strano come il diritto sia rovesciato nel mondo di Stefano: convinto di combattere i nazionalismi, ne sposa la logica economica, vecchia di 100 anni.

Il grafico sopra mostra come nel 1988 a un eccesso di competitività della Germania si sia potuto rapidamente ovviare (rivalutando il marco); mentre dal 2004 la presenza dell’euro impedisce un ritorno all’equilibrio, infranto da un’inflazione tedesca illegalmente più bassa del 2% concordato in Europa. Ma anche se tutto fosse dovuto ai guadagni di produttività tedeschi, è folle immaginare cambi fissi. P. es. il grafico qui sotto mostra la rivalutazione dello Yen nel periodo in cui il Giappone ha guadagnato produttività:

 

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Continua Stefano: “Gli altri non sono imbecilli… eviteranno i comportamenti predatori ai loro danni… alzando barriere … o usando la nostra stessa leva monetaria”. Stefano sembra non sapere che anche il Giappone nel 1971-95 faceva del suo meglio per evitare l’apprezzamento dello Yen, ma senza moneta unica era impossibile impedirlo: ciò vale sempre quando qualcuno cerca di discostarsi troppo dall’equilibrio. Perciò un ritorno alla lira consentirebbe all’Italia solo di annullare il vantaggio competitivo predatorio accumulato dalla Germania. Ma non di accumulare a sua volta un vantaggio competitivo predatorio. Non è questo l’obiettivo di un ritorno alle monete nazionali di Francia Spagna Italia e Grecia. E se ci provassero non ci riuscirebbero. Nel 1970-99 nessuno mai ci provò.

Perciò non credo fondata l’alternativa di Stefano: “seguire la traiettoria di questi ultimi sessant’anni di costruzione dell’Europa o tornare, tra mille traumi, al continente ridotto alla fame dai suoi conflitti”. Né credo giusto chiamare chi ha idee diverse “predicatori di miracoli interessati soltanto a conquistarsi un po’ di visibilità e magari un seggio in qualche Parlamento”. Ci sono molti buoni argomenti a favore dell’euro (soprattutto: uscire dall’euro è difficile ma i politici sottovalutano la questione ): concentriamoci su quelli.

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