Nemmeno venti ore dopo aver inviato a Bruxelles una lettera di risposta che rinvia la correzione dei conti pubblici e non specifica a quanto ammonterà, il ministro Pier Carlo Padoan ingrana la marcia indietro. E, parlando davanti a un’aula del Senato quasi vuota, spiega che “l’aggiustamento della dinamica del saldo di finanza pubblica è indispensabile“, aggettivo identico a quelle utilizzato poco dopo dal commissario agli affari economici Pierre Moscovici. Poi assicura che gli interventi verranno adottati “al più tardi entro fine aprile”, ma “è molto probabile che alcune misure saranno prese anche prima della scadenza”. Via libera dunque a tagli della spesa, da cui stando alla missiva deve arrivare un quarto dei 3,4 miliardi chiesti dalla Commissione, e alle maggiori entrate: estensione di misure anti evasione come l’inversione contabile dell’Iva (facendola pagare al compratore invece che al venditore, cosa che però già in passato ha fatto storcere il naso alla Ue) e soprattutto aumento delle accise, contro cui si sono già scagliate le associazioni dei consumatori. 

Il motivo della giravolta è presto detto: fonti europee non hanno nascosto l’insoddisfazione per i contenuti ambigui della missiva ricevuta mercoledì, in cui il governo italiano non spiega di quanto intende ridurre l’indebitamento e anzi anticipa che i nuovi eventi sismici richiederanno un esborso “molto probabilmente superiore a 1 miliardo di euro già nel 2017”. Lasciando intendere che quella cifra potrebbe essere scorporata dallo sforzo strutturale chiesto alla Penisola. Ora il titolare di via XX Settembre teme che il malcontento per quella risposta – scritta evidentemente tenendo conto dei desiderata dell’ex premier Matteo Renzi – possa sfociare in una procedura di infrazione, anche se Moscovici ha detto che “il suo obiettivo è evitare procedure”, non aprirle.

Se il commissariamento scattasse, il risultato sarebbe catastrofico per l’Italia e Padoan lo sa bene: “Comporterebbe una riduzione di sovranità sulle scelte di politica economica e, soprattutto, comporterebbe costi ben superiori per la finanza pubblica del paese” rispetto ai 3,4 miliardi di correzione richiesta. Di conseguenza ci sarebbe “una sottrazione di risorse per il pubblico, la crescita e l’occupazione, a seguito del probabile aumento dei tassi d’interesse” sul debito. Insomma, “l’ipotesi di una possibile procedura di infrazione è estremamente allarmante“.

Resta il fatto che il governo, per ragioni squisitamente politiche vista l’ipotesi di elezioni anticipate, ha deciso di intervenire non attraverso una manovra estemporanea “ma attraverso misure bilanciate di aggiustamento e sostegno” della crescita. E non subito, ma in primavera. Scelta a cui la Commissione risponderà con una decisione inevitabilmente altrettanto politica, tenendo conto del fatto che se l’Italia andrà alle urne prima della fine della legislatura gli impegni di Gentiloni e Padoan risulteranno di fatto azzerati e il balletto ripartirà con un nuovo esecutivo. In questo quadro, le precisazioni del giorno dopo lasciano il tempo che trovano.

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