Ci sono anche due figlie e la nuora di Francesco Bidognetti, Cicciotto ‘e mezzanotte, il capo storico del clan dei Casalesi, tra le 31 persone arrestate in un’operazione congiunta di polizia, carabinieri e guardia di finanza su ordine della Dia di Napoli. A tutti vengono contestati i reati di associazione mafiosa, ricettazione ed estorsione. In carcere è finita Katia Bidognetti, 35 anni; arresti domiciliari invece per la sorella, Teresa, di 27 anni, perché in stato di gravidanza. Arresto in carcere per Orietta Verso, 43 anni, nuora del capoclan, moglie di Raffaele Bidognetti, secondogenito del boss, detto ‘o Puffo. E lo stesso Bidognetti ha ricevuto la notifica della misura cautelare in carcere all’Aquila, dov’è recluso. Tra le altre figure quella di Vincenzo Bidognetti, 32 anni, che non è imparentato con la famiglia del boss, ma che era l’unico autorizzato ad avere rapporti con le donne del clan e soprattutto faceva da trait d’union tra gli affiliati.

I filoni sono due, anche se gli arresti sono avvenuti in contemporanea. Da una parte gli arresti a 5 componenti della famiglia Bidognetti, Cicciotto compreso. Dall’altra ci sono i 26 arresti che riguardano affiliati al clan Bidognetti che sono ritenuti responsabili di episodi di estorsione sul territorio casertano.

Determinanti per le indagini, spiegano gli investigatori, sono state le testimonianze di numerosi collaboratori di giustizia e tra questi la madre delle due ragazze, Anna Carrino, moglie di secondo letto di Cicciotto ‘e mezzanotte, depositaria di molti dei più importanti segreti del marito, che dal 2007 ha deciso di collaborare con la giustizia anche per l’aggressività della figlia maggiore. Dopo quella decisione, tuttavia, le sorelle Bidognetti rimasero fedeli al cognome che portavano: abbandonarono la madre e intrapresero la carriera criminale, emulando e sostituendo – spiegano gli inquirenti – i componenti maschi della famiglia nella gestione del clan: distribuivano gli stipendi, davano assistenza economica e legale ai parenti in carcere, portavano avanti il sistema di “messaggeria” da e per il carcere, trovavano posti di lavoro. E loro stesse, ovviamente, avevano uno stipendio mensile.

Ma era Katia che aveva l’ambizione di scalare ancora le gerarchie dei Casalesi. Anzi, vedeva in Teresa – spiegano ancora gli investigatori – un ostacolo alla sua leadership esclusiva. Il papà, Francesco, durante i colloqui in carcere non lesinava consigli e ordini: un linguaggio criptico, naturalmente, fatto di allusioni, doppi sensi, gesti rituali, mimiche facciali. Uno strano vocabolario che gli investigatori della Dia sono riusciti a tradurre nel corso degli anni, anche grazie alla Carrino.

E proprio a lei sono rivolte le frasi agghiaccianti di Katia Bidognetti. “Che fortuna che tiene, che la possano uccidere come dove sta mò lei (Teresa) la mamma (Anna Carrino) e tutta la famiglia della mamma” dice al padre. Entrambi odiano Anna Carrino: secondo loro ha rovinato l’intera famiglia. E non è la prima volta che hanno propositi di vendetta. Il 30 maggio 2008, emissari del clan Bidognetti (guidati da Giuseppe Setola, ‘o Ciecato, boss sanguinario, e dallo stesso ultimogenito della Carrino, Gianluca Bidognetti) tentarono, invano, di assassinare, la sorella della collaboratrice di giustizia, Maria, e sua figlia Francesca, che rimase ferita nell’agguato. Katia abitava ormai da anni a Formia, in provincia di Latina per vedere allentati i controlli delle forze dell’ordine diventati col tempo asfissianti. In quell’abitazione la Bidognetti abitava con il marito Giovanni Lubello, che era stato da poco scarcerato dopo aver scontato una condanna a oltre 6 anni per associazione a delinquere e che ora è finito di nuovo ai domiciliari. Insieme a Lubello, la Bidognetti ha tra l’altro estorto denaro a un resort, a Cellole, dove però i finanzieri avevano installati cimici e microspie.

E infine ruolo di “dirigenza” aveva assunto a Parete, paese in provincia di Caserta, Orietta Verso, moglie di Raffaele Bidognetti, figlio di Francesco. La Verso era “l’omologa” delle sorelle Bidognetti nella sua cittadina che si trova a ridosso di Aversa. L’operazione viene ritenuta un’ulteriore decapitazione dei vertici del clan Bidognetti, infatti, ma anche una risposta agli attentati dinamitardi mafiosi avvenuti a Parete: il 24 gennaio tre ordigni sono stati fatti esplodere in rapida successione, l’uno dall’altro, all’esterno di altrettanti esercizi commerciali (due a Parete ed uno, a poca distanza, ma già nel territorio di Giugliano in Campania). Ma le tre donne non si sporcavano le mani con gli affiliati militari. Per loro lo faceva Vincenzo Bidognetti, o’ Bellillo, incensurato e omonimo del clan. Quest’ultimo rappresentava il collante tra le tre donne, era l’unico autorizzato ad incontrarle ed era quello che distribuiva le loro informazioni agli affiliati.

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