di Enzo Marzo

Breve premessa. Chiunque abbia riflettuto nell’ultimo secolo sulla questione dell’informazione e della “verità” ha dovuto prendere atto, come ha fatto il pensiero scientifico e filosofico, che è lo stesso concetto di “verità” a essere una bufala. Restano le opinioni (tutte soggettive) e i fatti (tenendo conto che anche questi sono modificati dall’occhio di chi li osserva). Punto.

La querelle aperta sulle bufale che riempiono il web nonché tutti gli altri media è stata molto rivelatrice, perché ha fornito la palmare dimostrazione dell’indecente degrado della cultura politica e della sensibilità liberale del nostro paese. Persino il Garante Giovanni Pitruzzella ha dimenticato d’essere un uomo delle istituzioni e ha avanzato la sua proposta indecente: “Contro la diffusione delle false notizie serve una rete di organismi nazionali indipendenti ma coordinata da Bruxelles… capaci di identificare le bufale online che danneggiano l’interesse pubblico, rimuoverle dal web e nel caso imporre sanzioni a chi le mette in circolazione”. E per peggiorare ancora ha continuato: “Ma non è compito dei privati controllare l’informazione. Questo è storicamente compito dei pubblici poteri”, che “devono garantire un’informazione corretta”. Non ha torto: “storicamente” i poteri pubblici totalitari hanno sempre  voluto controllare l’informazione e hanno diffuso la loro Pravda corretta. E per non essere da meno subito dopo Grillo è sceso in gara censoria e ha proposto contro i giornali una sorta di tribunale popolare di stampo maoista da far rabbrividire.

Così la questione informazione ha toccato il suo fondo. Questo in quanto alla “teoria”. Nella pratica basta ripensare al modo in cui si sono comportati i media durante le due ultime campagne referendarie per porre la questione informazione (assieme a quella della corruzione) in cima a tutti i nostri guai. Per questo, è sorprendente la difesa d’ufficio dei giornalisti da parte del direttore di Repubblica, che  riesce a scrivere che la classifica internazionale che colloca il nostro paese al 77° posto in quanto “libertà d’informazione” si sbaglia: “Il motivo? Non quello che pensano i detrattori del nostro giornalismo, ovvero l’asservimento al potere, ma il contrario: troppi sono i giornalisti minacciati dalle mafie e dalla criminalità organizzata per le loro inchieste su malaffare e corruzione”. Con tutta l’ammirazione che abbiano per Alberto Spampinato e il suo “Ossigeno” che lotta strenuamente contro le minacce mafiose, osiamo credere che forse non bastano queste a farci precipitare dietro a molti paesi africani e in coda a tutti i paesi europei.

Però non mi pare affatto strano che a un direttore che sulla scia del cambiamento di idee del suo editore impuro ha gestito il cambiamento di 180 gradi della linea di Repubblica sfugga che appena negli ultimi due anni egli stesso è stato protagonista di una manovra di concentrazione di giornali senza precedenti; che non si sia accorto che Renzi ha posto nelle proprie mani l’assoluto dominio della tv pubblica; che i free lance sono pagati tre euro al pezzo e i giornalisti sono diventati quasi tutti precari, e quindi per forza tutti costretti alla docilità; che un quotidiano (Libero) ha rovesciato linea e direttore, passando dal Sì al No in un pomeriggio, dopo l’intervento del governo sui debiti del suo editore anch’egli impuro. Calabresi negli ultimi 25 anni non si è reso conto nemmeno che abbiamo avuto Raiset, gli editti di Berlusconi, la riforma Gasparri, la commistione tra carta stampata e televisione. Ecc.

Ps. Se Calabresi avesse cercato meglio avrebbe potuto trovare prove inconfutabili di conformismo giornalistico anche accanto a lui. Passano quattro giorni dal suo articolo del 4 gennaio e il nuovo Michele Serra prende l’editoriale del suo direttore e ci aggiunge Vatileaks: “Esempio tipico è la famosa faccenda dell’Italia al settantasettesimo posto nella classifica della libertà di stampa … Quella classifica viene brandita come una clava da chi sostiene la generica scemenza (scema come tutte le affermazioni generiche) che ‘il giornalismo italiano è asservito’. Ignorando, per la fretta di dire una cosa che riempie la bocca, che la causa principale di quella posizione in classifica è data dal grande numero di cronisti minacciati dalla mafia, sotto scorta, uccisi; oppure trascinati in tribunale da poteri offesi (il processo Vatileaks  ha fatto discendere all’Italia parecchie posizioni)”. Ovviamente da quel momento l’Amaca di Serra dalle pagine interne passa alla prima, ciondolando sopra la testata.

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