Da oggi anche nei cinema italiani, Riparare i viventi incrocia le storie di due madri per il cuore di un giovane surfista vittima di un incidente stradale. Emmanuelle Seigner aumenta e impreziosisce con gli anni la sua profondità interpretativa. Qui veste i panni dolorosi di una donna annichilita dalla perdita del figlio e dalla scelta che dovrà affrontare. Mentre le onde mattutine dell’oceano bagnano Le Havre il fulgore adolescenziale dei primi amori e dell’onnipotenza di una tavola da surf non bastano a salvare Simon dalla morte cerebrale. Anche se lamiere e emorragie alla testa sono più forti la possibilità del prelievo d’organi è l’unico soffio di vita da poter ancora donare. Il medico che ricopre il ruolo delicatissimo dell’informatore e traghettatore nell’iter del trapianto ha il volto di Tahar Rhaim. Versatile attore prima che stella del cinema francese, aggiunge un nuovo premuroso colore alla personale tavolozza di personaggi della sua carriera.

Dall’altra parte, a Parigi, la fragilità per una cardiopatia vicina alla fine poggia sulle spalle fragili e fortissime di Anne Dorval. Madre energica in Mommy, qui capovolge completamente la sua fisicità felina in quella di una donna in attesa di trapianto sostenuta dai figli in apprensione. In mezzo a tutti loro Gabin Verdet si presta in maniera totale al suo giovane surfista sfortunato. E con candore e freschezza attoriali quasi da neorealismo.

Tratto dal romanzo omonimo di Mailys de Kerangal, uscito nel 2014 in Francia e edito da Feltrinelli in Italia, Riparare i viventi ha già incassato 2,2 milioni di euro ai botteghini d’oltralpe. La regista Katell Quillévéré, ricevuta una copia dal suo produttore ancora fresca di tipografia, ha dato inizio all’adattamento per la sceneggiatura dopo una lettura immediatamente appassionata. L’autrice dietro la macchina da presa dosa lirismo delle immagini legate a surf, onde e panorami su dolly, stedycam e droni bilanciando il tutto con silenzi di scena quasi documentaristici, secchi, catartici. Spesso questi ultimi impressionano un po’ per i pochi filtri che il montaggio concede alle operazioni chirurgiche mostrate con dovizia di particolari. La ricerca lucida e determinata della realtà seppur molto tecnica accarezza ogni suo personaggio legandolo a un tutt’uno filmico e narrativo estremamente razionale ma di grande empatia con lo spettatore.

Elaborazione del lutto, il dolore tra la perdita e una scelta difficile, i dubbi di chi riceve un cuore estraneo, la vicinanza dei parenti stretti e l’umana professionalità del personale medico emergono distintamente dal film quanto dal romanzo. Anche se certe parti descrittive sulla carta hanno un effetto molto più coinvolgente delle immagini corrispondenti sul grande schermo. Il mondo dei trapianti viene percorso in maniera così lineare e veritiera che il Centro Nazionale Trapianti del Ministero della Salute ha mostrato la propria attenzione al film portando i suoi numeri incoraggianti ottenuti nel 2016 e la sua campagna per una cultura della donazione intitolata Diamo il meglio di noi, una rete di grandi aziende che si fanno punti di snodo per un vasto network d’informazione e partecipazione sull’argomento. Aperto agli utenti nel 2017, il portale ha l’obiettivo di raggiungere capillarmente i cittadini da più direzioni.

Anche attraverso il lancio di un film si può fare informazione su come si articola la rete trapianti in Italia, sulle garanzie previste dalla legge e su come dichiarare la propria volontà sulla donazione di organi, tessuti e cellule. A permettere il prelievo dal quale possono salvarsi altre vite basta un semplice foglio di carta con la dichiarazione della volontà di donare, dati anagrafici, data e firma in calce. Tutto scritto anche soltanto con una penna.

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