Donald Trump ha firmato l’ordine esecutivo che ordina alle agenzie federali di cominciare a costruire un muro al confine con il Messico. La firma dell’atto è avvenuta durante una visita al Department of Homeland Security. Ha detto Trump: “Ne abbiamo parlato sin dall’inizio della campagna elettorale”. Un altro ordine firmato da Trump alla Sicurezza Nazionale prevede di tagliare i finanziamenti federali alle cosiddette sanctuary cities, quelle città americane che rifiutano di adempiere alle leggi federali in tema di immigrazione.

In una conferenza stampa contemporanea alla firma degli atti, il press secretary di Trump, Sean Spicer, ha parlato di “un’ampia barriera fisica al confine meridionale”, aggiungendo che “costruire questa barriera è qualcosa di più di una semplice promessa da campagna elettorale. E’ un primo passo di comune buon senso per rendere finalmente sicuri dei confini ora troppo porosi. Questo bloccherà il flusso di droga, crimine, immigrazione illegale negli Stati Uniti”.

Sulla questione di chi pagherà per il muro restano diverse incognite. In un’intervista a Abc, Trump ha spiegato che sarà il governo federale, quindi i contribuenti statunitensi, ad anticipare la somma necessaria; ma questa verrà rimborsata “al 100 per cento più tardi… attraverso qualsiasi transazione che noi faremo con il Messico. Vi ripeto che ci sarà un pagamento, in una qualche forma, magari complicata. Quello che sto facendo è buono per gli Stati Uniti. Sarà una cosa buona anche per il Messico. Vogliamo un Messico molto stabile, molto solido”.

Nella stessa intervista, Trump ha aggiunto che la costruzione del muro dovrebbe iniziare molto presto, “nel giro di alcuni mesi”. Lo stesso presidente e i suoi consiglieri hanno anche suggerito alcuni mezzi per costringere il governo messicano a pagare la struttura di confine. Si pensa a forme di tassazione più alta per le merci che entrano dal Messico e all’aumento delle imposte sui rimesse che i messicani negli Stati Uniti mandano nel paese d’origine.

Il progetto è comunque ancora circondato da molte incertezze. Se il dato finanziario è rilevante – il nuovo presidente ha previsto una spesa di 8-10 miliardi di dollari; stime più realistiche pongono la somma necessaria alla costruzione ad oltre 30 miliardi di dollari, con cinque anni di lavoro e una manodopera di 40mila persone – sono in gioco anche complessi problemi logistici. Il confine tra Stati Uniti e Messico attraversa aree metropolitane come El PasoCiudad Juarez e San Diego-Tijuana; zone rurali, fiumi, deserti e parchi nazionali. Delle circa 2000 miglia di confine, 653 sono tra l’altro già in qualche modo dotate di reticolati e sistemi di protezione costruiti a partire dalla fine degli anni Novanta e implementati durante le amministrazioni di George W. Bush e Barack Obama. Sarà difficile, molto difficile, costruire una struttura omogenea su un territorio così vasto e diverso.

L’annuncio dell’ordine esecutivo di Trump è arrivato proprio nelle ore in cui il ministro degli esteri messicano, Luis Videgaray, arrivava a Washington per colloqui con il governo statunitense. Videgaray ha già fatto sapere che la scelta di costruire un muro potrebbe influire sulla rinegoziazione del Nafta. La settimana prossima nella capitale USA arriverà anche il presidente Enrique Peña Nieto ed è certo che il tema sarà al centro dei colloqui. L’ordine esecutivo firmato da Trump prevede comunque anche la costruzione di strutture dove detenere gli immigrati illegali. L’attuale sistema prevede che gli illegali arrestati siano rilasciati con un foglio di espulsione. D’ora in poi, all’arresto, seguirà la detenzione.

L’altro ordine esecutivo firmato da Trump riguarda il taglio dei finanziamenti federali a quelle città, le “sanctuary cities” come sono chiamate, che non collaborano nella lotta all’immigrazione illegale – soprattutto per quanto riguarda la deportazione. Sean Spicer, per giustificare l’atto, ha spiegato che “gli americani non vogliono più essere forzati a sovvenzionare chi non ha alcun rispetto per le nostre leggi… Le agenzie federali faranno applicare le leggi, senza se e senza ma”. Il Dipartimento di Stato, fanno sapere dall’amministrazione, prenderà una serie di provvedimenti per facilitare il ritorno di migranti illegali, o condannati per crimini, nei Paesi di provenienza. E’ possibile che l’ordine contro le “città santuario” faccia però esplodere un duro scontro con i sindaci di New York, di Los Angeles, di Chicago e di altre grandi città americane.

Nelle prossime ore Trump potrebbe firmare nuovi ordini esecutivi, soprattutto per quanto riguarda il blocco dei visti ai cittadini di alcuni Paesi a particolare rischio terrorismo. Tra questi, l’Iraq, l’Iran, la Siria, il Senegal, il Sudan, lo Yemen. La Casa Bianca ha invece escluso di voler riaprire I “black sites”, i siti della CIA dove negli anni della war on terror di George Bush venivano torturati i presunti terroristi.

Gli ordini esecutivi su muro e immigrazione illegale arrivano alla conclusione di tre giorni segnati da una serie di provvedimenti importanti e polemiche clamorose. Vediamone alcuni.

L’appello al proprio elettorato Alcuni tra i primi atti di Trump mirano a rassicurare la base elettorale che lo ha votato, dando al tempo stesso l’impressione di un netto cambiamento di rotta rispetto agli anni di Obama. A questa categoria appartengono l’ordine esecutivo che sancisce il definitivo tramonto del TPP; quello che blocca le assunzioni nel governo federale; quello sullo stop ai finanziamenti ai gruppi internazionali che praticano l’aborto e fanno informazione su contraccezione e diritti riproduttivi. Si è trattato in gran parte di atti simbolici – il TPP era praticamente già defunto; nel bando alle assunzioni non rientra il Pentagono, che tra militari e civili è già una monumentale struttura burocratica; lo stop ai finanziamenti internazionali sull’aborto è una pratica comune di ogni presidente repubblicano da Ronald Reagan in poi – che però hanno avuto il senso di mandare una serie di messaggi al popolo di Trump su limiti del governo federale, ritorno dei posti di lavoro in America e conservatorismo sulle questioni sociali.

La cancellazione della politica ambientale di Obama – Poi sono arrivati altri ordini esecutivi, quelli sugli oleodotti; questi ben più concreti e gravidi di conseguenze. Trump intende far ripartire il Keystone XL Pipeline e il Dakota Access Pipeline, due tra i progetti energetici più controversi e contestati degli ultimi anni, bloccati da Obama dopo l’esplosione di polemiche e proteste che sembrano invece a Trump il segno di “un ambientalismo che ha passato il segno”. La mossa del nuovo presidente è in sintonia con una politica energetica che torna a contare largamente sui combustibili fossili e che mira allo sfruttamento di risorse interne che, almeno nelle intenzioni, dovrebbero affrancare gli Stati Uniti dalla dipendenza dalle risorse estere. L’incontro con i CEO di Fiat Chrysler, Ford e General Motors ha confermato le intenzioni di Trump, che promette di cancellare fino al 75 per cento delle regolamentazioni sull’ambiente in cambio di nuovi posti di lavoro (che non è certo arriveranno: il Dipartimento di Stato ha previsto che il Keystone XL Pipeline porterà a una cinquantina di posti di lavoro stabili e continuativi). Sul lungo periodo l’obiettivo di Trump è probabilmente più ampio: uscire dall’accordo di Parigi sul clima e cancellare il “Clean Power Plan” di Obama.

Autoritarismo e polemiche – Altre misure hanno avuto minore pubblicità ma sono forse altrettanto significative del nuovo corso dell’amministrazione americana. Tra queste, c’è sicuramente la circolare che impedisce agli impiegati federali qualsiasi forma di comunicazione con il pubblico, attraverso cartelle stampa, account ufficiali sui social, corrispondenza. A essere interessati dal provvedimento, l’EPA – l’Environmental Protection Agency, grande nemica delle asserzioni di Trump in tema ambientale; e poi ancora l’Interior Department, i National Institutes on Health, l’Agricolture Department. Il giro di vite sulla comunicazione tra agenzie del governo federale e cittadini sembra essere scattato dopo due tweet sull’account ufficiale dei rangers, che mettevano in discussione le dimensioni della folla all’inaugurazione e alcune tra le nuove politiche di Trump. Il risultato è, comunque, che d’ora in poi tutto dovrà passare e essere filtrato dai vertici dell’amministrazione.

Contemporaneamente, Trump ha tenuto alto il livello di scontro con gli avversari politici e con diversi settori della società americana. Il nuovo presidente è tornato sulla questione delle elezioni di novembre, sostenendo di aver perso il voto popolare “perché tra i tre e i cinque milioni di persone hanno votato illegalmente” e di voler far partire un’indagine. L’asserzione sulle frodi elettorali non trova riscontro in alcun documento ufficiale o studio. E’ esploso anche, più duro che mai, lo scontro con la stampa, accusata da Trump di aver volutamente sottostimato l’entità della folla alla sua inaugurazione. La nuova amministrazione, per giustificare asserzioni spesso non suffragate dalla realtà, ha coniato anche l’espressione “fatti alternativi”. Infine Trump si è lanciato in un attacco a tutto campo contro quelle amministrazioni cittadine che non sembrano gradire il suo messaggio e il suo appeal. Oltre alla norma sulle “sanctuary cities”, il nuovo presidente ha minacciato in un tweet di “mandare i federali a Chicago, se la città non interviene contro l’orribile carneficina”. Chicago è una città largamente democratica, palcoscenico sabato scorso di una tra le più larghe “Women’s March”. Anche il capo della polizia della città dell’Illinois si è detto sconcertato. “Non so di cosa Trump parli”, ha spiegato il Police Superintendent Eddie Johnson.

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