Tra i gruppi terroristici attivi nel Paese negli ultimi due anni c’è sicuramente lo Stato Islamico di Abu Bakr al-Baghdadi. Un’azione che ha inizio proprio con il cambio di atteggiamento del governo Erdoğan sull’impegno militare in Siria contro l’estremismo islamico. Fino al 2014 la Turchia era considerata, se non un Paese amico, un buon vicino per le organizzazioni jihadiste impegnate nella lotta a regime di Bashar al-Assad. I servizi segreti turchi erano coinvolti nel traffico di armi con i gruppi ribelli siriani, tra i quali c’erano anche lo Stato Islamico e l’allora Jabhat al-Nusra (oggi Jabhat Fateh al-Sham), gruppo terroristico legato ad al-Qaeda con a capo Abu Mohammad al-Julani. Inoltre, la Turchia ha rappresentato il crocevia dei foreign fighter provenienti da tutto il mondo per combattere nelle fila di Isis e altri gruppi estremisti, con veri e propri organizzatori affiliati al terrorismo siriano che, in territorio turco, si occupavano di far passare uomini, armi, donazioni e merci da una parte all’altra del confine. “Tutti sappiamo – continua Strazzari – ciò che succedeva al confine. Quando però il governo turco ha deciso di appoggiare seriamente la coalizione internazionale a guida statunitense nella lotta allo Stato Islamico, le cose sono cambiate. I primi attacchi di Isis non venivano rivendicati, erano degli avvertimenti per cercare una contrattazione. Quando il tentativo è fallito, sono iniziati gli attentati più eclatanti. Alcuni gruppi che hanno ‘flirtato’ con la Turchia si sono trovati in fuorigioco. E oggi presentano il conto”.

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