Stimolato dai commenti all’ultimo post, affronto un tema legato alla durata dei beni o dei loro componenti. Il tema è quello dell’obsolescenza programmata, cui già dedicai tempo fa un post, che ora è il caso di aggiornare.

Innanzitutto perché non dicevo (ma lo ammetto, ne ero all’oscuro) che l’obsolescenza programmata – grazie alla quale i beni, elettrodomestici e prodotti informatici in particolare, nascono per durare solo un tot numero di anni, spesso poco oltre il limite della garanzia –  non è un’invenzione moderna, ma ha in realtà addirittura una nascita certa e anche piuttosto datata: il 1924. Fu in tale anno che venne costituito un cartello (Cartello Phoebus) tra i maggiori produttori di lampadine elettriche (General Electric, Tungsram, Compagnie di Lampes, OSRAM, Philips) anche al fine di accorciare la vita delle lampadine stesse, in modo da incrementare la produzione del bene. Mille ore, questo il limite massimo di durata che dovevano avere le lampadine. Il consorzio cessò di esistere con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, ma lo scopo che esso perseguiva, anche se non più palese, tuttora sussiste. Ed è così che la Apple ammette candidamente che l’iPhone è pensato per durare circa tre anni, mentre per il Mac sono calcolati quattro anni di vita.

Per contrastare l’obsolescenza programmata, che io definii “un crimine contro l’ambiente”, per il semplice e ovvio motivo che incrementa la produzione di rifiuti, giacciono attualmente presso il nostro parlamento tre proposte di legge. Le tre iniziative si muovono lungo un’unica direttrice a tutela del consumatore: la garanzia che passa da 2 a 5 anni, che diventano 10 nel caso di prodotti di grandi dimensioni (proposta del M5S); disponibilità di pezzi di ricambio fino a che il prodotto è sul mercato e per i 5-7 anni successivi; costo del ricambio proporzionato al prezzo di vendita del bene; possibilità di riparazioni a costi accessibili.

In diversa direzione nello stesso campo si è mossa invece già la Francia, dove è stata promulgata il 19 agosto 2015 una legge sulla transizione energetica che comprende interventi su diversi settori, uno dei quali è appunto l’obsolescenza programmata, diventato un reato punibile con due anni di prigione e 300mila euro di multa. In realtà, gli ambientalisti francesi si lamentano della scarsa chiarezza della norma e della sua difficile applicabilità, ma comunque questo è un segnale di una certa sensibilità dei governanti d’oltralpe. Oltre alla Francia, Belgio, Olanda e Finlandia sono intenzionate a fare lo stesso. E persino la Commissione Europea ha in cantiere un progetto ad hoc.

Del resto, la maggiore sensibilità dei francesi per gli sprechi in senso lato, è anche dimostrata dal fatto che sono intervenuti sempre legislativamente nel campo alimentare, anche qui inventandosi un nuovo reato, che consiste nel mancato accordo per i grandi supermercati (oltre 400 mq) di donazione alle organizzazioni no-profit dei prodotti alimentari vicini alla scadenza. Sanzione di 75.000 euro oppure due anni di reclusione.

Da avvocato posso affermare che non è detto che la via penale sia sempre quella più proficua, anche perché – ad esempio – debbono poi esserci controlli efficaci. Però, nel caso, essendo una norma che riguarda la grande distribuzione e la relativa facilità dei controlli, senza contare il timore per il danno all’immagine del venditore, la scelta può essere premiante. In Italia non abbiamo avuto lo stesso coraggio. Ma non stupisce.

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