C’è grande fermento tra i soci della Banca popolare di Milano che in questi giorni stanno mettendo a punto gli ultimi dettagli dell’impugnativa della delibera con cui l’assemblea del 15 ottobre scorso ha disposto la trasformazione di Bpm in società per azioni. Una corsa a ostacoli e contro il tempo per raccogliere tutte le firme e le deleghe e che, in un primo momento, sembrava scontrarsi con la necessità di rappresentare almeno un millesimo del capitale della banca, vale a dire circa 4 milioni di azioni: un traguardo impegnativo per un istituto in cui è sempre valso il principio di “una testa un voto”. Lo scoglio, però, sarebbe stato superato grazie a un precedente che fa giurisprudenza: il Tribunale di Brescia ha infatti accolto l’impugnativa di una delibera assembleare promossa da un millesimo dei soci di una banca popolare (Ubi), proprio in virtù del fatto che si trattava di una cooperativa e non di una società di capitali. Nel caso di Bpm, che ha circa 49mila soci, basterebbero quindi una cinquantina di azionisti per promuovere l’istanza, ma a quanto si apprende le firme saranno nell’ordine delle centinaia.

L’impugnativa verrà depositata in tribunale lunedì 23 gennaio e farà leva su tre argomenti principali, che riprendono l’ordinanza con cui il Consiglio di Stato ha sospeso in via cautelare la circolare della Banca d’Italia che detta le regole per la trasformazione delle banche popolari in spa. Un punto centrale della controversia legale è il divieto posto dalla Banca d’Italia ai soci delle banche popolari di costituire una holding cooperativa attraverso la quale mantenere il controllo della banca trasformata in società per azioni. Un divieto che, secondo Palazzo Spada, è “privo di base legislativa” e “oltre che non necessario per realizzare le finalità della riforma, [è anche] foriero di una irragionevole disparità di trattamento tra i soci delle ex-popolari (privati della possibilità di esercitare il controllo) e ogni altro soggetto che partecipi al capitale azionario cui, invece, tale possibilità resta riconosciuta”. Secondo i ricorrenti, la sorte della circolare della Banca d’Italia è segnata e verrà dunque annullata dal Consiglio di Stato (che già l’ha censurata e sospesa in via cautelare) non appena si arriverà alla sentenza di merito e indipendentemente dalla pronuncia della Consulta sulla riforma delle popolari. La circolare, infatti, è un atto amministrativo sul quale il Consiglio di Stato ha piena competenza e completa giurisdizione.

L’altro punto centrale, anch’esso censurato dal Consiglio di Stato, riguarda la sospensione a tempo indeterminato del diritto di recesso e il fatto che la circolare della Banca d’Italia attribuisce alla banca “il potere di introdurre deroghe a disposizioni del codice civile e ad altre norme di legge, dando così vita a un’inedita forma di delegificazione di fonte negoziale”. A legare queste argomentazioni ve n’è una terza, determinante proprio ai fini dell’impugnativa della delibera, e cioè il fatto che Bpm – né nell’avviso di convocazione dell’assemblea dei soci, né attraverso il consiglio di sorveglianza – abbia fatto cenno alle controversie pendenti davanti alla giustizia amministrativa riguardo la legittimità della riforma e della circolare attuativa. Bpm non ha ritenuto di rinviare l’assemblea dei soci (come fatto invece da Popolare di Bari e Popolare di Sondrio) per attendere l’esito delle controversie in corso, con il risultato che – secondo i ricorrenti – la maggioranza dei soci che il 15 ottobre ha votato a favore della trasformazione di Bpm in spa avrebbe adottato una deliberazione contraria se avesse saputo che per il Consiglio di Stato le prescrizioni della Banca d’Italia erano illegittime. Anzi, sapendo di poter legittimamente procedere alla trasformazione della banca in spa attraverso la costituzione di una holding cooperativa di controllo, avrebbero a maggior ragione rigettato la proposta presentata dal vertice Bpm che è stata alla fine approvata.

La tesi conclusiva dell’impugnativa è che la scelta dei soci è risultata falsata dalle omissioni imputabili alla governance della banca, omissioni che hanno trasformato le informazioni in possesso dei soci in vere e proprie istruzioni ingannevoli che li hanno portati a votare contro i loro stessi interessi. Se la delibera di trasformazione in spa dovesse essere annullata dal Tribunale, il neonato gruppo Banco-Bpm si troverebbe in guai seri. Guai che si andrebbero a sommare all’apertura dell’inchiesta per aggiotaggio da parte della Procura di Milano, che sta indagando sulla mancata informativa ai soci e al mercato dei rilievi mossi dalla Bce sulle sofferenze in capo al Banco Popolare e al loro grado di copertura. L’ipotesi accusatoria è che i due istituti fossero a conoscenza di questi rilievi già prima dell’assemblea del 15 ottobre in cui, oltre alla trasformazione in spa è stata deliberata anche la fusione tra le due banche. Intanto, a Piazza Affari il titolo Banco Bpm ha chiuso in leggero calo a 2,764 euro (-0,29%).

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