“Io non ho fretta”. “Il Paese dev’essere governato”. I contraenti del Patto del Nazareno, finito in frantumi sia per la legge elettorale che per le riforme costituzionali, parlano nello stesso giorno, separati. Matteo Renzi in un’intervista a Repubblica a Ezio Mauro, Silvio Berlusconi in un’altra intervista al Corriere della Sera con Francesco Verderami. Si parlano da lontano e la “profonda sintonia” ormai sembra limitata a una cosa sola: le elezioni anticipate sono ridotte a un lumino. Votare subito senza far finire la legislatura, chiede Mauro a Renzi: “Mi è assolutamente indifferente”, risponde l’ex presidente del Consiglio. “Io non ho fretta – aggiunge – decidiamo quel che serve all’Italia, senza ansie ma anche senza replicare il 2013 dove abbiamo pagato un tributo elettorale al senso di responsabilità del Pd. Forse alcuni parlamentari – specie dei nuovi partiti – sono terrorizzati dalle elezioni perché sanno che non avrebbero i voti neanche per un’assemblea di condominio. Ma noi no. Noi faremo ciò che serve al Paese”. A Berlusconi Verderami propone un governo tra il governo Dini e il governo Gentiloni, ma a parti invertite: nel 1995 era Forza Italia (come il Pd) che a parole premeva per andare il prima possibile alle urne in modo da non essere logorata dall’attesa e dal voto su provvedimenti magari impopolari. Ma per Berluconi il paragone è improprio. “Non abbiamo motivi per sostenere” il governo, spiega. Al contrario “appena tecnicamente possibile si dovrà andare al voto. Nel frattempo il Paese dev’essere governato. Quello di Gentiloni è chiaramente un governo di transizione verso il voto, ma i problemi – come la povertà crescente – sono gravi e non si vive di legge elettorale. Perciò siamo disponibili, dall’opposizione a votare ogni provvedimento che a nostro parere sia positivo e utile per gli italiani”. Insomma, la fretta di correre alle urne è da un’altra parte.

Uno scenario sintetizzato dal ministro degli Esteri e leader del Nuovo Centrodestra Angelino Alfano: “Se il governo va bene – spiega a In Mezz’ora, su Rai3 – va avanti fino a che c’è il carburante e i primi 30 giorni hanno evidenziato cose positive”. Se comunque si andasse al voto anticipato si tratterebbe di pochi mesi di anticipo, quindi “no a psicodrammi”. E comunque “non siamo per l’accanimento terapeutico”. E a dare suggerimenti all’orecchio di Renzi è anche il sindaco di Milano Giuseppe Sala, che in un lungo intervento sul Corriere ritiene che non sia “né scontato né opportuno” andare al più presto a nuove elezioni. Il sindaco invita dunque a completare la legislatura e il centrosinistra ad aprire una riflessione al suo interno sulla legge elettorale, “che non può essere trattata come merce di scambio” pur di andare a votare al più presto. “Per governare serve stabilità – scrive Sala – per programmare il futuro servono serenità e tempo adeguato. Mai come oggi di emergenza in emergenza si rischia di soffocare. O, peggio, si finisce nella demagogia inconcludente. Vale per chi sta al Governo del Paese, come vale per chi fa il sindaco”.

Certo, un ostacolo – e anche grosso – nella strada verso le elezioni è che manca la legge elettorale. Come ormai raccontano i giornali da settimane, tutti i partiti dicono che bisogna fare un sistema nuovo il prima possibile, ma nessuno fa niente per cominciare a discuterne, in modo da trovare un accordo. Il grande progetto è come sempre farsi risolvere il rebus dai magistrati, questa volta quelli della Corte costituzionale che si pronuncerà sull’Italicum il 24 gennaio. La proposta del Pd sul Mattarellum è caduta praticamente nel vuoto. Anzi, quando è stato il momento – in commissione Affari costituzionali alla Camera – Pd, Fi e M5s hanno rinviato tutto a dopo la sentenza. I Cinquestelle propongono, con Danilo Toninelli, di prendere la legge che uscirà dalla Consulta e applicarla anche al Senato. Il Pd, che in un primo momento aveva parlato di Mattarellum, ora sta virando su un proporzionale con ballottaggio.

Almeno così dice Renzi: “Io credo nel Pd, credo nell’intuizione veltroniana del partito maggioritario, credo possa essere la spina dorsale del sistema, soprattutto in un quadro bipolare come piace a me”, aggiunge il segretario del Pd che al mantenimento del ballottaggio, anche con Grillo in campo, dice “sì, è il modo per evitare inciuci, governissimi, larghe intese tra noi e Forza Italia che non servono al Paese e aprono un’autostrada al grillini. Ballottaggio, o se no Mattarellum. Se poi dalla Corte verrà fuori un sistema diverso ci confronteremo con gli altri. Col maggioritario il Pd è il fulcro di un sistema simile alla democrazia americana. Con il proporzionale torniamo a un sistema più simile alla Democrazia cristiana. Ma il Pd sarà decisivo comunque”.

Una mossa, quella di Renzi della ri-ri-apertura verso il proporzionale, che ha fatto pensare a un nuovo patto, questa volta senza incontri al Nazareno: il proporzionale “concesso” a Forza Italia, il voto a giugno “concesso” a Renzi. A smentire è il capogruppo berlusconiano al Senato, Paolo Romani: “Non c’è nessuno scambio tra legge proporzionale e voto a giugno – dice al Qn – Anzi, ritengo che far partecipare Gentiloni a Taormina il 26 maggio con gli scatoloni già fatti a Palazzo Chigi perché 10 giorni dopo si vota non sia il massimo”.

Se c’è una cosa certa, comunque, è che Forza Italia (i cui voti possono essere fondamentali per votare in Parlamento una riforma elettorale) vuole una legge proporzionale. “Ma un proporzionale puro porta ad avere le preferenze che noi, assieme ad altri, riteniamo possano comportare meccanismi devastanti per la democrazia. Detto questo, vogliamo rendere compatibile la rappresentanza del voto degli italiani con la governabilità: perciò bisogna prevedere piccoli collegi o le liste corte”. Berlusconi, sempre sul Corriere, aggiunge: “E’ necessario chiarire che quando chiedo il sistema proporzionale non lo chiedo affatto per fare le larghe intese. Io voglio vincere le prossime elezioni con il centrodestra, che mi auguro unito su un progetto liberale e riformatore. Dico però che l’Italia è troppo fragile per permettersi governi espressione di una minoranza di elettori e nei quali il resto del Paese non si riconosce”.

Ma l’ex Cavaliere sembra già pregustare cosa avverrà, in qualunque momento e in qualunque modo si voti: “Oggi – prosegue -in Italia esistono tre grandi aree: noi, il Pd e i grillini, molto simili per consistenza numerica. Nessuno di questi tre poli allo stato sembra in grado di governare da solo. Se gli italiani non daranno più del 50% a un solo polo, sarà inevitabile accordarsi. Ma non è certo il nostro obbiettivo”.

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