Una grande foto in primo piano del ministro dell’Istruzione e sotto la scritta: “Per fare il professore ci vogliono: laurea, abilitazione e concorso. Per fare il ministro dell’Istruzione: terza media, amicizie e molte bugie”. I muri di Roma sono stati tappezzati nella notte tra il 9 e il 10 gennaio con una seria di manifesti contro Valeria Fedeli. Un’iniziativa rimasta anonima, visto che sui cartelloni non c’è alcuna firma degli autori.

Il riferimento chiaramente è alla polemica scoppiata sul suo titolo di studio subito dopo la nomina a ministro dell’Istruzione. Valeria Fedeli aveva infatti dichiarato di aver conseguito un “diploma di laurea in Scienze sociali”. Dopo le accuse di aver mentito, era corsa ai ripari modificando la voce del curriculum in “diploma per assistenti sociali”. La vicenda aveva indignato molti docenti e i deputati del Movimento 5 Stelle avevano chiesto le sue dimissioni.

Il Partito democratico si è schierato a difesa della ministra. “Esprimo massima solidarietà alla ministra Fedeli fatta oggetto di un miserabile attacco con alcuni vergognosi manifesti attaccatati sui muri delle strade di Roma”, ha detto Maria Coscia, capogruppo Pd in commissione Cultura della Camera. La deputata Ileana Piazzoni gli fa eco parlando di “campagna d’odio”. Per la senatrice Laura Puppato “i manifesti contro Valeria Fedeli sono figli di una cultura maschilista”. “Questa volta il vergognoso anonimato di chi sparge fango e si nasconde senza assumersi alcuna responsabilità lascia il web e va ad imbrattare i muri della Capitale”, commenta Titti Di Salvo, vicepresidente del gruppo del Pd alla Camera. Mentre il senatore Bruno Astorre si chiede: “Chi ha pagato i manifesti contro Valeria Fedeli che oggi tappezzano la capitale?”.

Di tutt’altro avviso invece Mario Adinolfi. Il giornalista e ideatore del movimento “No gender nelle scuole – Popolo della famiglia” era stato il primo a sollevare il caso della laurea inventata e sui social ha scritto: “Per i manifesti che irridono (giustamente) Valeria Fedeli, il Pd si agita e parla di macchina del fango. Definizione inventata da Roberto Saviano per attaccare coloro che descrivevano gli imbrogli di Gianfranco Fini con la casa di Montecarlo”. “Quando la verità infastidisce – conclude – meglio un sano silenzio”.

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