La morte di Zygmunt Bauman, mi permette di ravvivare la gratitudine per Angelo Pagani, il professore che introdusse in Bocconi uno studio della Sociologia non dedito alle necessità aziendali. Ci fece studiare per Sociologia 2 Stasnslaw Ossowsky, che a Varsavia fu uno dei punti di riferimento di Bauman. I ricordi si esauriscono qui.

Il professor Bauman, il cui tratto principale, fu quello di non aver mai smesso di insegnare, con i libri, ma anche stando in mezzo agli studenti dell’Università di Leeds, a cui è stato sempre riconoscente per averlo accolto quando i venti della repressione avevano ricominciato a soffiare nella sua Polonia, non era certo uomo da 140 caratteri, ma temo che senza raccogliere il suo insegnamento, per uno che non ha mai amato le semplificazioni, verrà citato come colui che definì la post modernità e la società liquida.

Il pensiero dei filosofi non basta a migliorare la società, altrimenti non saremmo oggi a cercare certezze e gratificazioni, in un mondo votato all’incertezza, che il marketing ci fa quotidianamente. Un insieme di certezze promesse, che ci spingono verso una comunità di consumatori, di frequentatori compulsivi di social network o ad accettare piani semplificatori di chi giura di risolvere problemi complessi, immensi ed epocali in 5/10 punti o giorni.

Nonostante l’età avanzata, il professor Bauman non è mai sembrato vecchio, piuttosto un saggio, un maestro che sapeva stare in mezzo alle persone conversando della vita, di economia, dell’amore con una visione profonda, ma senza mai marcare la distanza del suo sapere e mettendoci in guardia dal demone della paura, parlando di felicità in modo totalmente opposto a chi la sogna come una vita senza problemi, ma piuttosto come frutto del superamento delle sfide, facendo ogni giorno del proprio meglio.

Frutto, un altro termine ricorrente, legato al concetto di tempo, frutto del lavoro e della gioia delle cose durevoli, come l’amore (per la propria compagna o per l’umanità) che non è un oggetto che può essere comperato, preconfezionato pronto all’uso, ma che ha bisogno di un impegno costante, di essere ri-generato, ri-creato e resuscitato ogni giorno (come racconta in una bella intervista Raffaella De Santis). Profondità, riflessione, lunghezza, termini che valgono di fronte a ogni difficoltà. Anche il ’68 (di cui tra poco verremo investiti dalle immancabili commemorazioni) avrebbe potuto essere un punto di inizio, ma la nostra dedizione alla gratificazione istantanea, al tutto e subito, e senza legami è stata capitalizzata in un’attitudine forte a vivere solo il momento presente.

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